L’arresto del brigante Delpero

L’arresto del brigante Delpero

di Edmondo De Amicis

L’arresto di Delpero raccontato dalle parole di Edmondo De Amicis nel suo libro Alle porte d’Italia (Treves, Milano 1892).

Un giorno passeggiando per Pinerolo vidi un lungo cartellone variopinto del teatro delle marionette con su scritto a caratteri cubitali: «Questa sera si rappresenta: Le gesta e le avventure del famoso bandito Delpero da Canale arrestato dal vice brigadiere dei carabinieri Luigi Gamalero, attualmente in riposo a Torre Pellice».

Come? – dissi tra me – il Gamalero è ancora vivo?

Mi pareva che gli attori di quel dramma terribile, di cui fu protagonista il Delpero, e che terminò con sei impiccamenti solenni nella piazza maggiore della città di Bra, dovessero essere tutti morti e inceneriti da un pezzo. Sbagliavo, perché non erano passati più di venticinque anni; ma gli avvenimenti che ci colpirono quando eravamo ragazzi ci paiono quasi sempre più lontani del vero, forse per effetto di quella grande ebbrezza della prima gioventù che vi stese sopra i suoi fumi. Quel cartellone delle marionette mi richiamava alla memoria una delle commozioni più vive dei miei primi anni.

Rividi la sala da desinare di casa mia, la famiglia a tavola, la cuoca che porgeva a mio padre La Gazzetta del Popolo, arrivata allora, e poi tutta la scena: mio padre dà una scorsa al foglio e grida: – Ah! L’hanno ammazzato finalmente! – e noi tutti prorompiamo in una espressione di maraviglia e di gioia. Poi tutti zitti, immobili, a sentire la lettura di una corrispondenza da Vigone, nella quale era raccontato l’arresto dell’assassino famoso che da molti mesi atterriva e inorridiva il Piemonte. L’apparizione inaspettata dei carabinieri nell’osteria dove egli stava desinando con uno dei suoi, la lotta accanita, la resistenza furiosa del mostro, forte come un toro e svelto come una tigre, le varie vicende di quella mischia disperata che noi seguimmo con l’animo sollevato, quasi ansando, come se l’esito fosse ancora incerto; e finalmente il largo e profondo respiro dato da tutti all’intender quelle benedette parole: Si arrese. Dei carabinieri, non so come, m’era rimasto impresso il solo nome del Gamalero; e me lo ripetevo sovente, a voce alta, con gratitudine. Perché era un pezzo, per dio Bacco, che noi ragazzi, facendo delle scappate in campagna, tremavamo di veder sbucare da una siepe o da un fosso lo spaventevole bandito e scappavamo come il vento alla

vista di ogni faccia barbuta. Nessun altro masnadiero ci aveva mai ispirato tanto terrore e tanto ribrezzo. Era perché il Delpero non aveva mai mostrato neppure uno di quei rari e istantanei sentimenti di mansuetudine che passan per l’animo anche ai malfattori più tristi […]: egli era un assassino tutto d’un pezzo, una belva crudele e stupida, che uccideva inutilmente, e torturava prima di uccidere, e infieriva contro i cadaveri; uno sgozzatore di ragazzi, acceso di libidini orrende, perverso e feroce fin nel midollo delle ossa. L’avevano agguantato, dunque! Mente noi leggevamo la notizia della sua cattura a Vigone, egli era già arrivato a Pinerolo, legato come un salame, in mezzo a uno squadrone di cavalleria. Tornavamo a respirare, potevamo rifare le nostre scampagnate col cuor tranquillo…

Di tutto questo mi ricordai lucidamente leggendo quel cartellone dei burattinai. – Ah! È ancora vivo e sta a due passi da qua, il Gamalero! Ebbene, lo andrò a trovare; e gli farò raccontare le sue gesta in mezzo a due bottiglie di Barolo vecchio –. […]

Domandammo di lui all’albergo; ci dissero che faceva il garzone da un liquorista! Andammo dal liquorista. C’erano tre uomini seduti ad una piccola tavola, in una piccola stanza, in mezzo ad una nidiata di bambini. Dissi subito: – Dev’essere quello là –, non si poteva sbagliare. Egli ci portò il vermut. È veramente una figura da carabiniere piemontese all’antica; alto, membruto, d’aspetto grave, quasi cupo, con due grandi occhi scrutatori e i baffi grigi. È vicino ai settanta, ne dimostra dieci in meno: si capisce alla prima occhiata che doveva avere una forza erculea, e che l’ha conservata quasi tutta. Gli domandammo se voleva venire all’Albergo dell’Orso a bere un bicchiere con noi e a raccontarci il famoso arresto. Rispose di sì, senz’altro, come se fosse una cosa già convenuta, e fece subito un’uscita da vecchio carabiniere, abituato alle formalità di servizio. – Mi rincresce soltanto che non mi ricordo più del nome di battesimo di Delpero. Io lo sapevo: Francesco. E anche il soprannome. Nerone. Li avevo visti in sogno più di una volta, scritti sulla parete, a caratteri rossi. Fummo meravigliati dalla sua voce: una voce profonda, poderosa, la quale, ai suoi bei tempi, doveva gridare degli “alto là” da far accapponare la pelle ai cavalli.

San Giuseppe Cafasso mentre reca i conforti religiosi a un condannato a morte, cosa che fece anche con Francesco Delpero.

Due ore dopo era seduto a tavola con noi e ci raccontava la sua vita, modestamente: figliuolo d’un cappellaio d’Alessandria, soldato nella brigata Aosta dal 1835 al 1841, poi carabiniere; promosso vice brigadiere, non so in qual anno, dopo un arresto rischioso fatto a Torre Pollice e servizi resi durante il colera a Villafranca. Al tempo del Delpero era di stazione a Vigone. Il bandito era cercato da vari mesi, furiosamente, da tutte le parti. Da ultimo aveva ancora ucciso a tradimento due carabinieri, di notte, sulla via di Pollenzo, e cercava di assassinare il delegato di pubblica sicurezza di Pinerolo, certo Francia, al quale aveva già dato molti anni prima una stilettata, per cui l’avevano mandato in galera; donde era fuggito freddando un guardiano. Il Gamalero faceva continue perlustrazioni, faticose e inutili, nei boschi di Vigone dove si credeva che il Delpero si aggirasse con la sua banda.

Una sera che tornava stanco morto da una di queste corse, gli dicono che il brigadiere, uscito poco prima dalla caserma, cerca di lui. Egli va difilato all’Osteria dell’Orso marino, dove gli pareva più probabile trovarlo. C’era infatti, con un altro carabiniere: li aveva mandati a chiamare l’ostessa perché erano capitate all’osteria due “brutte facce”.
Il Gamalero entra nella stanza grande. A sinistra della porta d’entrata, all’estremità d’una lunga tavola, c’erano i due avventori sospetti, seduti l’uno in faccia all’altro, che avevano smesso di mangiare. Il brigadiere, ritto davanti a loro, col carabiniere accanto – un mingherlino, un po’ tonto – li interrogava. Un po’ più in là, a un’altra tavola, stava cenando un altro avventore, un negoziante di bovi, corpulento, che osservava con curiosità quella scena.

– Appena entrato – disse il Gamalero – appena vidi la faccia di quello seduto di fronte alla porta, dissi subito tra me: quello è Delpero –. – Era un giovane sui ventisei anni, d’alta statura, coi capelli neri e la barba nera, d’una pallezza di morto –. Il Gamalero si andò a piazzare alle spalle di lui, vicinissimo, senza fiatare; e il brigadiere gli fece un cenno col viso: – Occhio alle mani dell’amico –. Intanto continuava a interrogare.

Richiesti delle carte gli avevano presentato un passaporto e un certificato patentemente falsi: i connotati non corrispondevano, le firme erano tutte della stessa mano. L’uno si faceva passare per un mercante d’agrumi, l’altro per un negoziante di vino. Il brigadiere incalzava con le interrogazioni e osservava intanto che la tasca della giacchetta del più grande presentava un rilievo singolare.

– Datemi di nuovo il passaporto – gli disse – e alzatevi, che riconosca un’altra volta la statura –.

– To’! – grido allora Delpero cacciando fuori con rapidità fulminea una pistola e puntandola al cuore del brigadiere. Ma nel punto stesso il Gamalero gli vibrava un formidabile pugno nel viso che lo buttava a terra. Il brigadiere e il carabiniere s’avventarono sul caduto; il Gamalero salta sull’altro, lo afferra per il collo, e lo porta via di peso, sbatacchiandolo attraverso la stanza… Qui bisognò rider per forza a sentire come il Gamalero, interrompendosi, accennò di volo, senza ridere, la sveltezza prodigiosa, la velocità sovrumana con cui il grosso negoziante di bovi, al vedere la mala parata, non fuggì, ma svanì per la finestra. La lotta fu tremenda. Il Delpero, armato d’altre due pistole e d’un coltello, lottava per salvarsi dalla forca; la disperazione gli dava una forza formidabile, la rabbia l’aveva mutato in belva, si contorceva, ruggiva, picchiava, si rotolava sul pavimento, abbracciato ai due carabinieri, fra le panche rovesciate e le stoviglie spezzate, scalciando e addentando, facendo degli sforzi di dannato per afferrare altre armi. Il Gamalero voleva correre in aiuto ai due compagni, ma non attentandosi ad abbandonare il suo prigioniero, gli andava torcendo la cravatta, e allentandola a vicenda, quando lo vedeva annerire; gli dava un po’ di fiato, di tanto in tanto, per dirla colle sue parole, lo stretto necessario per vivere, come si fa con la chiavetta d’un becco di gas, che non si vuol né spegnere né tenere accesso. Il momento era terribile. C’era da temere che gli altri della banda fossero appostati là attorno; se accorrevano, tutto era perduto. Una persona s’affacciò alla porta: fu creduto un bandito; disparve subito; era un fratello dell’oste, mezzo scemo. Bisognava finirla. Il Gamalero, con una sola mano, stringendo il laccio più forte, strascinò il suo impiccato verso gli altri tre, afferrò un braccio all’assassino, gli fece cascar dal pugno la pistola, lo inchiodò per terra per la gola; e allora, s’arrese, finalmente, e fu ammanettato. Subito accorsero guardie municipali e guardie nazionali.

Il Delpero ansò per molto tempo. Le sue prime parole furono di rammarico perché gli fosse mancato il colpo alla pistola. – Se non mi mancava – disse con un sguardo torvo al brigadiere – a quest’ora lei sarebbe già in compagnia degli altri due –. Poi diede in smanie da forsennato, si dibattè, urlò che voleva morire, tentò di spaccarsi il capo contro il muro. Infine, si quietò, e fu portato alla caserma dei carabinieri, tra un urlio orrendo della folla…

Ma io l’ho sciupato miseramente il racconto del Gamalero. È difficile farsi un’idea dell’eloquenza, disordinata ma calda, scolpita, con la quale egli ci fece vedere quella scena, e sentire quasi gli aneliti, i colpi, lo sgretolio dei denti, le grida soffocate dei lottatori. A lui stesso pareva di ritrovarcisi e gesticolava, raccoltamente ma con tale vigore che, quando torceva il pugno noccoluto per rendere l’atto con cui aveva serrato la strozza al suo fantoccio, mi pareva di sentirmi il colletto troppo stretto e me lo sarei sbottonato con piacere. E tirò innanzi per un bel pezzo.


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