Lo chiamarono “Don Bestia”

Nella foto: un gruppo di partigiani a San Donato di Mango. Don Luigi Servetti tenne segretamente un diario degli avvenimenti che si verificarono nella borgata, dove era operativo il comando partigiano della II Divisione Langhe affidato a Pietro Balbo, detto “Poli”.

 

Lo chiamarono “Don Bestia”

 di Donato Bosca

 

Don Luigi Servetti, originario di Sant’Antonio di Magliano Alfieri, festeggiato parroco di San Donato di Mango nei giorni 1-2-3 dicembre 1940, è diventato personaggio letterario nei Racconti partigiani di Beppe Fenoglio, che scrive di lui in modo particolarmente efficace: «Dalla soglia della chiesa il parroco mi chiama, che ha finito di scopare la sua chiesa. Grasso come un porco, testa quadra, pecora nera di tutto il clero diocesano, ma i suoi parrocchiani lo adorano e un poco anche noi che lo chiamiamo Don Bestia…».

Figura controversa, al punto di meritarsi il titolo di “pastor banditorum”, divenne un individuo scomodo per repubblichini e tedeschi, che non esitarono a catturarlo durante il rastrellamento del 19 novembre 1944 e a portarlo a Cuneo con il fermo proposito di fucilarlo. Solo l’intervento personale del Vescovo di Alba, monsignor Luigi Maria Grassi, valse a salvargli la vita e a permettergli di tornare presso i suoi parrocchiani.

Nel suo libro di testimonianze “La tortura di Alba e dell’Albese”, lo stesso monsignore ne ricorda il calvario con accorate parole: «Povero don Servetti, quante ne ebbe a patire! Per essere la sua chiesa parrocchiale isolata e su un punto dominante la valle del Belbo e tutto il sistema collinoso che di là porta ad Alba, era continuamente alle prese con qualche reparto o di repubblicani o di patrioti; fu condannato più volte alla fucilazione sempre rimandata, spogliato completamente del suo, più volte arrestato e ora – io ne avevo la ferma convinzione – pagava per tutti quelli del clero che non si era mai riusciti a colpire. Non fu rilasciato che dopo più d’un mese e dopo reiterate istanze, senza neppure essere processato».

Negli anni cruciali della guerra partigiana don Servetti tenne segretamente un diario degli avvenimenti che si verificarono a San Donato di Mango, dove era operativo, presso l’Osteria della Posta, il comando della II Divisione Langhe affidato al partigiano Piero Balbo, conosciuto col nome di “Poli”.

Nel suo diario don Servetti racconta quanto si verificò nel corso del 1944, a cominciare dal 17 gennaio, giorno in cui venne registrata la morte di Mario Revello presso la frazione Bongiovanni, mentre sono annotate operazioni di stanziamento di partigiani nella casa disabitata detta “di Carmine”, di proprietà di Battista Morra, e operazioni militari ai danni di abitanti del comune di Cossano Belbo.

Il diario prosegue, poi, con la puntuale registrazione di quanto avvenuto in data 16 agosto e in data 19 novembre, quando i rastrellamenti tedeschi provocarono gli eccidi e le efferatezze che ancora oggi vengono commemorate. Le ultime annotazioni riguardano l’arrivo a San Donato di soldati della Repubblica di Salò e poi di partigiani, nei mesi di febbraio e marzo 1945. Altre pagine del diario sono, invece, di contenuto più sociale e riguardano, ad esempio, lo svolgimento (nell’agosto 1949) della peregrinatio mariae.

Il 23 giugno 1950 il sacerdote festeggiò il suo giubileo d’argento sacerdotale, ricevendo dalle autorità che presero parte alla cerimonia (tra gli altri, l’avvocato Formica di Alba, il sindaco di Mango Giacomo Bonifacio con tutti i consiglieri, il commendator Gino Bernocco, studioso di storia locale, e il reverendo padre Aldo Bona, direttore dell’Istituto Missionario della Consolata) l’onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia, con la seguente motivazione: «È notorio quanto il Cavaliere don Servetti ha fatto, durante la recente guerra, per salvare dai soprusi e dalla morte numerosi perseguitati rifugiatisi in questa lontana frazione e parrocchia».

Ma chi era veramente don Luigi Servetti, “pastor banditorum” durante la guerra partigiana, e perché Beppe Fenoglio lo definì la “pecora nera” del clero albese?

Una risposta a questa domanda è arrivata, sia pure frammentaria, dalle testimonianze scritte di chi ebbe modo di frequentarlo negli anni in cui esercitò la difficile vocazione di pastore d’anime a Diano d’Alba e a San Donato di Mango.

Lo studioso Fausto Cassone lo descrive in un testo ancora inedito e ricorda che «tutti lo invitavano a benedire i tavoli degli anniversari, dei compleanni, delle leve, delle trebbiature, e anche ai Santi. La benedizione avveniva sempre alla fine del pranzo, quando il parroco, semiubriaco, si alzava e, barcollando leggermente, pronunciava parole in latino per l’anniversario della scomparsa del nonno, per la prima comunione della nipotina, per la festa della vendemmia… Sempre le stesse, buone per tutte le circostanze».

Il giornalista Raoul Molinari, in un profilo pubblicato dal settimanale Gazzetta d’Alba nella rubrica “Gente di casa nostra”, gli rende omaggio raccontando alcuni aneddoti da film felliniano: ricordando, ad esempio, che dopo la benedizione delle case ripartiva a piedi, ansimando, con i salamini regalatigli che fuoriuscivano dalle tasche dei pantaloni e i cani della borgata che lo inseguivano con la speranza di riuscire ad addentarli.

L’identikit della pecora nera arriva, però, da un ex parrocchiano di Diano d’Alba, Federico Veglio, eclettico intellettuale oggi residente ad Aosta. Nella testimonianza inedita “Don Luigi Servetti, un uomo di grande cuore” rivela: «Don Servetti non faceva mistero che la tonaca gli andasse un po’ stretta. Spesso, quando vedeva passare una bella ragazza, fremeva ed esclamava senza mezzi termini: “Ah…se r’aveisa nen susì adòss…” (se non avessi questa tonaca addosso…), e scuoteva la sottana con una mano…Anche le sue cognate, che lavoravano all’albergo Buoi Rossi di Alba, conoscendo le sue abitudini, se lo sorprendevano a sfiorare il fondoschiena di una cameriera lo richiamavano bonariamente a tenere le mani a posto: “Sa, Vigin, piantra lì… fa nen r fòl!” (Luigi, smettila, non fare lo scemo!). Davvero una poliedrica figura di parroco dalle passioni spiccatamente “umane”, da ricomporre nel puzzle delle memorie perdute.

 

 QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. UNO di “Roero Terra Ritrovata”
PUOI SFOGLIARLO ONLINE QUI.

Commenta questo articolo per primo!