La Fiera di San Martino

La Fiera di San Martino.

Quando Andrea Monchiero scrisse la “Novecento” del Roero

di Oscar Barile

Il professor Andrea Monchiero, autore del romanzo pubblicato postumo “La fiera di San Martino”, era molto conosciuto e stimato e ancora oggi, a vent’anni dalla morte, tanti lo ricordano con affetto e gratitudine per la sua instancabile opera di insegnante, preside, giornalista, politico e per il suo impegno e la sua testimonianza umana e cristiana. A pochi, però, era nota la sua abilità di narratore e proprio questo romanzo, pubblicato quattro anni fa grazie all’amministrazione comunale di Pocapaglia e a cura di Sorì Edizioni, ce lo fa scoprire e apprezzare.

Monchiero narra la storia della sua famiglia così come l’ha sentita raccontare dalla nonna, la vera protagonista del romanzo insieme alle colline, ai boschi e alle rocche in cui ha vissuto per tanti anni. È il Roero che fa da sfondo alle vicende del romanzo, con i suoi paesaggi, le cascine, le nebbie, le vigne; un territorio affascinante e unico dove affondano le radici dell’autore e dei suoi personaggi.

Ambientato nei decenni a cavallo del Novecento, attento nella descrizione del modo di vivere e di pensare del tempo, il romanzo, attraverso la storia di Gina, immerge il lettore nella civiltà contadina della tradizione, mostrandone i valori (il lavoro, la famiglia, la solidarietà, la fede, la rassegnazione, il perdono) e la quotidianità scandita dalla fatica, dalla miseria, dai sacrifici, ma anche dai momenti sereni delle giornate di festa e di convivialità: minuziose e precise le descrizioni di pranzi – quello di “fidanzamento” o quello a casa degli amici Sorba –, della “merenda” di Pasquetta, della festa di nozze. Può anche essere letto come un importante documento sul Roero e sulle sue trasformazioni culturali, economiche e sociali, in particolar modo nel campo della viticoltura che vive, in quel periodo, la sua peggior crisi per l’avvento della fillossera, con conseguente abbandono della coltura, migrazioni all’estero e introduzione nella zona della coltivazione del pesco.

Pocapaglia, luogo in cui è in parte ambientato il romanzo di Andrea Monchiero. (Foto di Tino Gerbaldo)

Pocapaglia, luogo in cui è in parte ambientato il romanzo di Andrea Monchiero. (Foto di Tino Gerbaldo)

Il tutto viene raccontato dalla nonna al piccolo Andrea che la accompagna in un tragitto a piedi, non facile per lei, sia per la sua età avanzata e la lunga strada da percorrere, sia soprattutto per il grande passo che, al termine di quel viaggio, le verrà chiesto di compiere. E la nonna, quasi come una liberazione, racconta e fa scoprire al ragazzo la storia della sua famiglia, una storia di povertà e di miseria, ma anche di amore autentico, di dedizione alla famiglia e di grande fede in Dio, nei suoi tempi che non sono quelli degli uomini e nella sua giustizia intrisa di misericordia. Che sia stata nonna Gina stessa a raccontarglielo, ad aprirgli il cuore e a confidarsi con lui, Andrea lo rivela soltanto nelle ultime pagine del romanzo: pare quasi che la nonna abbia scelto lui come depositario di una vicenda umana ricca di avvenimenti e anche tragica, in cui il dolore e la disperazione trovano conforto e speranza nella solidarietà e nella vicinanza di vere amicizie e nel nascere di nuovi e inaspettati sentimenti, a volte quasi inespressi, ma intensi e duraturi.

Quando ho letto il libro per la prima volta, mi è subito presa la voglia di trarne una commedia: la storia avvincente, i dialoghi serrati, i caratteri dei personaggi ben delineati, quasi lo richiedevano. I protagonisti, testimoni di una vita vissuta all’insegna di valori nobili come l’onestà, la fedeltà alla parola data, il pudore dei sentimenti, la dedizione al lavoro, meritavano la ribalta, come l’avrebbero meritata tanti altri vissuti sulle nostre colline nell’anonimato e nel silenzio, in un periodo in cui l’esistenza e le condizioni di vita erano molto più dure di quelle di oggi. Non mi ero mai cimentato con la trasposizione di un romanzo a testo teatrale e la sfida era avvincente, anche se sicuramente difficoltosa. In primo luogo dovevo assolutamente ridurre il racconto di Gina. Andrea ne raccontava l’intera vita in oltre duecentocinquanta pagine che sarebbe stato difficile portare in palcoscenico senza farne uno spettacolo quasi di “ronconiana” lunghezza (sei ore o più!). Era necessario scegliere: mi è parso che la parte più interessante della storia fosse quella che si conclude con il secondo matrimonio della nonna e fin lì ho scelto di arrivare, con l’aggiunta della scena più importante, quella finale, che racchiude il senso più profondo dell’intera vicenda e che non sto a raccontare per non rovinare il gusto della lettura a chi ancora non conoscesse il libro. È stato doloroso dover riassumere il resto del racconto con alcune delle sue pagine più belle dedicate alla decisione di Meo, il primo figlio, di partire per l’Argentina e la sua amara conclusione in un monologo dell’anziana protagonista che non dura più di cinque minuti, ma le esigenze del copione imponevano questa scelta.

La Compagnia "Il Nostro Teatro di Sinio" ha portato in scena con successo un adattamento teatrale del romanzo di Andrea Monchiero, superando brillantemente le difficoltà di resa linguistica del dialetto e delle espressioni popolari tipiche del Roero.

La Compagnia “Il Nostro Teatro di Sinio” ha portato in scena con successo un adattamento teatrale del romanzo di Andrea Monchiero, superando brillantemente le difficoltà di resa linguistica del dialetto e delle espressioni popolari tipiche del Roero.

Nella commedia, la struttura del romanzo viene capovolta: si parte dalla fine, dunque lo spettatore sa, sin dall’apertura del sipario, del viaggio con la nonna e delle sue confidenze ad Andrea, da cui scaturiscono vari flashback che, a poco a poco, fanno emergere dai fondali del tempo e della memoria i personaggi e gli avvenimenti che il ricordo della nonna riporta in primo piano.

Un’altra difficoltà era rappresentata dal mio desiderio di non voler tradire o addirittura mistificare il pensiero dell’autore. Volevo essergli fedele cercando anche di far scaturire da un vibrante testo letterario, scritto in ottimo italiano, un buon testo teatrale scritto in piemontese. Non potevo fare altrimenti: la mia compagnia – “Il Nostro Teatro di Sinio” – che lo avrebbe rappresentato, recita quasi esclusivamente in piemontese. Sono stato aiutato molto in questa fatica dai tanti dialoghi presenti nel romanzo e penso di essere riuscito, pur nell’obbligata, suddetta necessità di vigorosi tagli, a portare in scena quanto Andrea Monchiero ha voluto raccontare e testimoniare, senza aggiunte o libere interpretazioni. Una sola libertà mi sono preso, una libertà che scaturisce dalle emozioni che mi ha dato la lettura dell’opera: nel monologo finale di Gina ormai anziana, la protagonista rivela di aver amato il secondo marito quanto il primo, anche se di un amore diverso legato al tempo e alle situazioni in cui questo nuovo sentimento nasce. Mi sembrava giusto puntualizzarlo perché nel romanzo sono narrate due grandi storie d’amore, vissute l’una con l’ardore della giovinezza e l’altra con la quieta e serena maturità dell’età adulta, che scopre nell’altro inaspettate qualità e, nel proprio cuore, il desiderio e l’insperata possibilità di aprirsi a una nuova esperienza di vita.

La copertina del cd, colonna sonora originale dello spettacolo teatrale del gruppo di musica e danza tradizionale "Canalensis Brando" di Canale.

La copertina del cd, colonna sonora originale dello spettacolo teatrale del gruppo di musica e danza tradizionale “Canalensis Brando” di Canale.

C’era poi la difficoltà di misurarsi, per noi compagnia teatrale di Langa, con la mentalità e soprattutto con il dialetto del Roero, ma, in questo, ci sono stati di aiuto alcuni dei nostri componenti roerini che ci hanno insegnato almeno a correggere gli errori più macroscopici (confesso che è stato difficile imparare a dire “ ’d longh” invece di “subit”).

E così la commedia è andata in scena, ha fatto conoscere a tanti spettatori Gina, Pino, Minòt e tutti gli altri personaggi del romanzo. Non nascondo che ha avuto molto successo, i personaggi con le loro storie hanno coinvolto ed emozionato in ogni piazza e in ogni teatro, specialmente quando è stata rappresentata nei paesi in cui le vicende si erano svolte (Corneliano e Pocapaglia su tutti), con un’intensità emotiva particolare per gli attori chiamati a far rivivere, nei luoghi originali, avvenimenti di oltre un secolo prima.

Il felice incontro con i “Canalensis Brando”, che hanno composto la colonna sonora originale della commedia e, in alcuni casi, l’hanno accompagnata con le loro danze, hanno contribuito a calarla nell’ambiente e nel tempo in cui la vicenda è ambientata.

 

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La locandina dello spettacolo teatrale dedicato a "La Fiera di San Martino", che ha debuttato al Teatro Sociale di Alba il 4 Febbraio 2006.

La locandina dello spettacolo teatrale dedicato a “La Fiera di San Martino”, che ha debuttato al Teatro Sociale di Alba il 4 Febbraio 2006.

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