ROERO DA BERE
di Mario Deltetto e Tiziano Gaia
Sul “numero zero” della nostra rivista Baldassarre Molino ha messo in evidenza come l’importante casata medievale dei Roero abbia influenzato profondamente lo sviluppo politico ed economico del territorio, arrivando col tempo a traslare lo stesso nome dalla famiglia titolare alla zona di influenza. In epoca molto più recente, il nome Roero è stato oggetto di un’ulteriore applicazione, venendo a designare addirittura il prodotto più tipico del settore agricolo di quest’area: il vino. A una prima analisi questa situazione potrebbe sembrare paradossale, in realtà, se analizziamo in modo più approfondito ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni del Novecento, possiamo scoprire che tale circostanza è il frutto di un intreccio di vicende umane e sociali ben precise. Il risultato, in altre parole, di un profondo processo in cui si incontrano valori e ideali.
Fino a poche decine di anni fa il Roero era un’area fortemente frammentata sotto il profilo sia amministrativo sia produttivo: alcuni autori si riferiscono a questa zona con il termine di Sinistra Tanaro o di Alto Monferrato. La genesi del cambiamento ha trovato la spinta primigenia nel geometra Baggini di Sommariva Perno, che fu il fondatore della Libera Associazione del Roero (per semplicità abbrevieremo L.A.R.).
L’attività della L.A.R. è stata molto ampia, avendo sviluppato iniziative nei campi più disparati, dall’agricoltura allo sport, dall’economia al turismo.
In quest’articolo ci concentreremo in particolare sul processo che ha portato all’acquisizione di coscienza necessaria per trasferire – caso più unico che raro nel nostro Paese – il nome di una famiglia aristocratica su un prodotto di eccellenza della terra.
Roero: la terra delle idee, le idee della terra
La L.A.R. vide la luce il 15 febbraio del 1974. L’associazione si poneva obiettivi molto ambiziosi che miravano a diversi ambiti della vita sociale, come vedremo successivamente. L’associazione diede origine a importanti cambiamenti nel modo di vivere e pensare il Roero, tuttavia, prima di addentrarci nell’analisi dell’attività pratica, è bene prendere in considerazione i valori che la animavano.
Lo statuto dell’associazione è una delle fonti da cui poter trarre informazione in merito, in particolare per quanto concerne l’articolo 2:
«Il suo principale obiettivo è quello di predisporre il mezzo più efficace per dare vita, reale e genuina, all’esercizio di quella “Partecipazione Popolare” di cui al Titolo IV dello Statuto Regionale, del quale costituisce la parte più schiettamente democratica».
Più avanti, nell’articolo 5, vengono esposte in modo chiaro le fondamenta ideologiche dell’associazione:
«La sua azione sarà fondamentalmente ispirata ai sani e tradizionali principi di giustizia, libertà e progresso, con lo scrupoloso rispetto della dignità e personalità umana e degli insopprimibili principi di morale».
Dalle parole sopracitate si può dedurre che la L.A.R. fu un’officina di idee: in essa non si elaboravano solamente politiche culturali, economiche e sociali, ma principi e valori.
Alcuni potrebbero pensare che le parole presenti nello Statuto siano frasi di rito, o un mero orpello letterario, ma se ci fermiamo ad analizzare le opere realizzate e lo spirito con cui queste sono state portate avanti, scopriremo proprio l’esatto contrario.
A tal proposito è opportuno ricordare le parole del professor Ambrois:
«Non dimentichiamo che il Roero è composto di persone, le quali lavorano senza alcun egoismo – essendo le cariche non gettonate – ma spinti unicamente dal desiderio di un bene comune». (Relazione del 13/12/1975 presentata nell’assemblea svoltasi a Canale)
Qualche anno più tardi ribadiva:
«Il nostro gratuito impegno si è rivolto all’assistenza vitivinicola: impegno, ripeto, non retribuito e di conseguenza non strumentalizzato. Abbiamo conosciuto a nostre spese quanto sia pesante il prezzo dell’indipendenza, ma siamo fieri di poterci proclamare “liberi”, e “libera” da ogni strumentalizzazione politica ed economica è l’Associazione che rappresentiamo». (Relazione del 24/06/1979 presentata nell’assemblea svoltasi a Canale).
I settori di intervento della L.A.R.
Lasciando l’approccio teorico e avvicinandoci alla dimensione operativa dell’associazione, scopriamo che questa contemplava un’azione diretta nei tre ambiti sotto descritti:
Sociale: a questo livello l’associazione cercava di aumentare la possibilità di sopravvivenza delle aziende agricole a conduzione familiare; tale obiettivo era perseguito attraverso la tutela dei prodotti tipici e la sponsorizzazione dell’area roerina tramite stand alle fiere e la creazione di cartoline di interesse turistico.
Inoltre vennero patrocinati i “giochi della gioventù” nel 1976 affinchè le attività ludiche incrementassero la coesione tra gli abitanti della zona.
Economica: ovvero la creazione di politiche agricole che permettessero lo sviluppo di un’agricoltura di qualità. La creazione del marchio Roero fu uno dei primi passi per raggiungere l’obiettivo.
Ecologica: attraverso la protezione dell’ambiente della zona impedendone il deturpamento della flora e della fauna; in tal senso la L.A.R. fu promotrice del Parco delle Rocche.
La condizione agricola del Roero.
Prima degli anni Settanta la situazione produttiva di queste zone era molto complessa e frammentata, l’economia agricola era al limite della sussistenza e non esistevano politiche o piani sociali per la valorizzazione del territorio. Inoltre il fenomeno della polverizzazione fondiaria incrementava enormemente i costi di produzione. L’assenza di un’identità unitaria legata al territorio impediva ai contadini di applicare strategie di mercato in grado di migliorare e omogeneizzare la distribuzione. Un esempio di questa situazione critica è dato dall’Arneis (vedi grafico).
Lorenzo Tablino in un articolo comparso su Gazzetta d’Alba nel 1996 scrive che nel 1964 vi erano poche barbatelle di questa varietà, salvate in extremis dal professor Ambrois all’azienda agricola Carretta.
In questa fase di stallo la L.A.R. diede un primo importante input inerente lo sviluppo del settore primario: la creazione del marchio Roero da apporre ai prodotti agricoli provenienti dai comuni interessati, che erano all’epoca Baldissero d’Alba, Ceresole d’Alba, Corneliano d’Alba, Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d’Alba, Piobesi d’Alba, Pocapaglia, Santa Vittoria D’Alba, Santo Stefano Roero, Sommariva Perno, Vezza d’Alba.
Il marchio entrò in vigore il 22 aprile 1974. Non era specifico per l’ambiente vitivinicolo, ma veniva utilizzato per tutta quella produzione ortofrutticola e zootecnica che dimostrava di aver raggiunto i requisiti richiesti dal regolamento creato dalla L.A.R.
Questo fu un primo passo che favorì successivamente la realizzazione di un marchio per i vini (10 Marzo 1975) e lanciò l’iter di richiesta prima, di riconoscimento poi della Doc per il vino Roero (nel 1985).
Il marchio nacque con l’intento di accertare il reale quantitativo di prodotto proveniente dalla zona, e pertanto di certificare un’offerta veritiera, garantendo al consumatore che tale prodotto provenisse da un’area ben ristretta e delimitata, comprendente i comuni associati.
Il regolamento del marchio si prefiggeva alcuni scopi:
- Vigilare affinchè non vi fossero in vendita con il marchio Roero vini che non venissero prodotti e imbottigliati in zona
- Vigilare sulla conservazione dei vitigni pregiati e sulla loro diffusione in località vocate
- Migliorare la produzione e la vinificazione
- Svolgere promozione a favore del marchio
L’esigenza di qualificare il Nebbiolo come Roero nasceva dal fatto che il territorio a sinistra del Tanaro è differente rispetto all’Albese.
Il 14 febbraio 1976 si tenne la prima riunione a cui furono invitati i rappresentanti dei comuni della zona, delle pro loco, degli agricoltori e tutti coloro che avevano a cuore lo sviluppo economico e culturale dell’area.
Il 18 febbraio dello stesso anno, il professor Ambrois sottopose all’assemblea dell’associazione la bozza del disciplinare e richiedeva ai comuni le delibere di approvazione.
Il processo che condusse alla ottenimento della Doc durò circa una decina d’anni e fu accompagnato da molto lavoro e da non poco scetticismo. Le fasi iniziali di questo iter furono particolarmente problematiche poiché si rese necessario un profondo studio pedoclimatico delle diverse zone atte alla produzione del Roero e un fitto dialogo con le amministrazioni locali per creare un sistema di norme davvero tutelante.
Il bianco e il rosso. Due anime per un solo canto alla terra.
Pochi terroir in Italia possono contare su una proposta enologica di qualità tanto articolata qual è la gamma di vini prodotti nel Roero. Dai bianchi ai rossi leggeri, dai rossi importanti alle tipologie aromatiche, l’offerta roerina è in grado di assecondare gusti, tendenze e umori del consumatore più esigente. La superficie vitata nel Roero si aggira sui 3500 ettari, di cui 2200 a denominazione di origine. Oltre ad arneis e nebbiolo, varietà su cui ci soffermeremo presto, le cultivar più diffuse sono barbera, favorita e brachetto. Da quest’ultimo si ottiene un vino dolce esuberante, particolarmente apprezzato dal mercato, localmente chiamato Birbèt (“birichino”, “monello”, nella parlata di queste colline). Tralasciando la neonata Docg (Denominazione di origine controllata e garantita, vale a dire l’apice della piramide legislativa italiana in fatto di vini di qualità), le altre denominazioni che insistono sul territorio sono la Barbera d’Alba, il Nebbiolo d’Alba e il Langhe Favorita, per un totale complessivo di 23.000 ettolitri l’anno. Vale la pena riflettere su questi dati in quanto, al di là della relativa sterilità dei numeri, forniscono l’immagine di un territorio particolarmente brillante sotto il profilo tecnico e della volontà di non appiattirsi su un solo argomento produttivo. Se poi cerchiamo una carta d’identità più fedele ai reali connotati enologici della zona, allora emergono con forza due tipologie su tutte: il Roero e il Roero Arneis. È proprio su questi due vini, oggetto della nuova Docg, che il territorio sta puntando per affermarsi definitivamente tra i grandi comprensori nazionali. E se la loro storia, burocraticamente intesa, risale a non più di vent’anni fa (anzi, esattamente a vent’anni fa: è del 1985 l’istituzione della Doc Roero, di 4 anni più recente quella del Roero Arneis), ben più antica è la presenza in zona dei due vitigni di origine. Del nebbiolo, varietà che sta alla base del Roero, si hanno notizie nell’area fin dal 1303, anno in cui appare citato in un atto di vendita di alcune terre nei dintorni di Canale, capoluogo storico del territorio e centro vitivinicolo principale. La tradizione di coltivare il nebbiolo nel Roero si inserisce nella più ampia, riconosciuta vocazione di tutto il sistema collinare albese alla diffusione e all’allevamento di questo austero e celebre vitigno. Più originale invece la storia dell’arneis, varietà a bacca bianca autoctona del Roero, le cui prime tracce risalgono al 1478: è in quest’epoca che si parla per la prima volta del toponimo Bric Renesio, località sempre nei pressi di Canale.
Il termine, in realtà, significa in dialetto “personaggio un po’ matto e bislacco”, espressione che ben si adatta al carattere “estroverso” del vino ottenuto. L’impiego dell’arneis per la vinificazione così come la intendiamo oggi è piuttosto recente: in passato lo si impiegava per produrre un vino più o meno dolce, mentre nelle vigne di nebbiolo la sua presenza serviva più che altro a “distrarre” gli uccelli che, attirati dall’aroma gradevole delle sue bacche, risparmiavano in questo modo le più nobili uve rosse. Tutto cambia negli anni Ottanta, quando un’ambiziosa riflessione da parte di alcuni produttori, unita a un crescente interesse in Italia verso vini bianchi secchi di una certa importanza, induce a un drastico cambio di mentalità e stile. Parallelamente, sempre negli anni Ottanta, proseguono la ricerca e il lavoro di miglioramento sul nebbiolo, che culmineranno a metà del decennio con il riconoscimento della Doc. Qui è il terroir a fare la differenza (intesa rispetto alla Langa, dunque al Barolo e al Barbaresco). Il Roero non è, tranne in alcuni punti circoscritti, terra di argille. Una complessa vicenda geologica ha fatto sì che sulla sponda sinistra del Tanaro si accumulassero grandi depositi sabbiosi, gli stessi che ancora oggi, pur con le opportune sedimentazioni, costituiscono la base ampelografica principale del territorio. I rossi a base nebbiolo qui prodotti assumono pertanto una connotazione più gentile, meno austera e potente, con colori meno graffianti e profumi decisamente fruttati. Il tannino, soprattutto, è meno accentuato, con una ricaduta notevole in fatto di finezza ed eleganza. Quanto può “vivere” dunque un nebbiolo del Roero? Probabilmente (manca una memoria storica delle aziende tale da suffragare l’ipotesi) meno di un grande Barolo, ma sempre in linea con le virtù longeve del vitigno: dunque parecchi anni. Il disciplinare della nuova Docg, cui ci sentiamo di riconoscere equilibrio e lungimiranza, mira proprio a esaltare le caratteristiche precipue del vino: da un lato, consentendone l’immissione sul mercato dopo due anni, recepisce la maggior prontezza al consumo del Roero rispetto al Barbaresco e al Barolo; dall’altro, prevedendo per la tipologia Riserva un ulteriore anno di affinamento, asseconda la tendenza di questo vino a maturare molto bene nel tempo, equiparandone così l’uscita sul mercato al Barbaresco e, più in generale, ai grandi rossi della tradizione italiana.
La parola ai disciplinari.
La nuova Docg Roero, evoluzione ulteriore e prestigiosa della già citata Doc risalente agli anni Ottanta, si trova disciplinata sulla Gazzetta Ufficiale del 7/12/2005. Prevede quattro tipologie: Roero, Riserva; Arneis, Arneis Spumante. Il Roero sarà ottenuto da un uvaggio al 95-98% di nebbiolo e 2-5% di altri vitigni a bacca rossa: questa norma sostituisce la precedente percentuale del 2-5% di vitigno arneis. La zona di produzione interessa 19 comuni del Roero. Le operazioni di vinificazione e invecchiamento devono essere effettuate all’interno di suddetto territorio. La resa massima di uva ammessa è di 80 quintali a ettaro per il Roero, 100 per il Roero Arneis, dato che scende rispettivamente a 72 e 90 quintali per la specificazione “Vigna” seguita dal relativo toponimo. Tale specificazione è ammessa per vigneti con un’età d’impianto di almeno 7 anni. Il volume alcolico minimo sarà di 12 gradi per il Roero e 10,5 gradi per l’Arneis. Ecco le nuove norme riguardanti l’invecchiamento: il Roero potrà essere immesso al consumo dopo 20 mesi decorrenti dal 1° novembre dell’anno di vendemmia; il Roero Riserva dopo 32 mesi. Per entrambe le tipologie è previsto un passaggio di almeno 6 mesi in legno. In pratica, tenendo come riferimento la vendemmia 2005, il primo Roero Docg si è potuto gustare a partire dal 1° luglio 2007; il primo Roero Riserva ha visto la luce il 1° luglio 2008. Già nella primavera 2006 si è potuto apprezzare il Roero Arneis Docg. Per un brindisi con bollicine, poi, non resta che attendere l’uscita in questi mesi dei rari spumanti da vitigni autoctoni del nostro panorama enologico.
QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. UNO di “Roero Terra Ritrovata”
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