Niente di nuovo sul fronte roerino. L’eccidio di Castagnito


Niente di nuovo sul fronte roerino. L’eccidio di Castagnito

di Luigi Allerino

Gli episodi di guerra vissuti dalle genti del Roero sul finire del secondo conflitto mondiale, se confrontati con le gesta della resistenza della vicina Langa, rese celebri dalle opere di Fenoglio e coronate dai 23 giorni della repubblica di Alba dell’autunno ’44, sembrano relegati a un ruolo storico di contorno.
Non è ambizione di questo articolo ricostruire le importanti pagine resistenziali delle formazioni roerine (gli autonomi della 23esima brigata Canale e del presidio di Cisterna naturalmente e poi i braidesi di Della Rocca, i gruppi di Leonardo Cocito e Pietro Chiodi, i garibaldini di Marco Lamberti e i Matteotti di Gino Cattaneo per ricordare solo i più noti) ma descrivere un quadro del clima di guerra civile e di rastrellamenti che portarono alla fucilazione di quattro giovani renitenti catturati e uccisi tra Guarene, Castagnito e Castellinaldo il 23 febbraio 1945.

I mesi dell’autunno e inverno del 1944-45 vedevano il fronte in Italia inchiodato davanti alle posizioni della linea gotica che attraversava da Pesaro a Carrara gli Appennini dove i tedeschi e i soldati della repubblica di Salò erano riusciti ad attestarsi solidamente dopo le tremende sconfitte della primavera-estate ’44.
I patrioti del nord Italia vedevano cosi svanire la possibilità di liberare prima dell’inverno l’intera nazione mentre i soldati della repubblica sociale e i loro alleati tedeschi potevano ancora una volta rivolgere la loro furia contro i partigiani che si trovarono da soli a difendere le zone libere conquistate nell’estate-autunno.
Proprio i fatti legati alla breve vita della repubblica albese finiscono per costare cari alla resistenza roerina che già il 17 agosto 1944 perde i suoi capi in una trappola tesa dai repubblichini col pretesto di trattare una resa ed esce decimata dalla difesa di Alba il 2 novembre dello stesso anno.
A inizio autunno i nazifascisti incominciano a serrare la stretta; a Corneliano sono dislocati reparti tedeschi e a Canale un distaccamento della Rsi. A novembre sono i partigiani della Langa a subire i colpi più gravi e molti, anche tra i più noti, si rifugeranno sulle prime colline del Roero. I rastrellamenti e il proclama Alexander, con cui il generale inglese consiglia ai patrioti di sciogliere le loro formazioni per passare l’inverno, aumentano la confusione di cui si avvantaggiano alcuni furfanti che con le loro ruberie minano la fiducia che si era creata tra i partigiani e la gente delle campagne. I fascisti si sentono di nuovo padroni del territorio e i molti renitenti che avevano disertato i bandi d’arruolamento della repubblica di Salò non possono più contare su alcuna protezione.
A questo proposito i proclami repubblichini sono minacciosamente chiari: i disertori possono essere fucilati come prevede la legge marziale e non sono rare rappresaglie e vessazioni gratuite sui civili (tra le ultime quella successiva ai combattimenti del 6 e 7 marzo 1945 a Cisterna vendicata dai partigiani della brigata Canale il giorno dopo nella cruenta battaglia di Santo Stefano Roero).

1601Castagnito_Sisto_Giriodi

Il Municipio di Castagnito. (foto di Sisto Giriodi)

I protagonisti

Questo è il clima nel quale si consuma l’eccidio del 23 febbraio 1945. Il rastrellamento che porterà alla fucilazione dei quattro prigionieri parte al mattino dal presidio di Alba e ha come protagonisti gli Arditi dei Rap (Repressione antipartigiana). che dal novembre 1944 alla Liberazione si rendono colpevoli delle azioni più cruente.
Si tratta di corpi di volontari autonomi dove l’elemento squadrista prevale ormai su quello di esercito regolare.
Alcuni di questi gruppi sono stati preparati e indottrinati negli stessi campi di addestramento delle SS tedesche adottandone le tecniche antiguerriglia. La gente li chiama semplicemente Muti, dai reparti “Ettore Muti” che portano il nome dell’aviatore e segretario del partito fascista ucciso nel 1943, un eroe per i volontari della repubblica sociale.
Li comandano il capitano Gagliardi e il tenente Rossi, entrambe processati e fucilati subito dopo la liberazione per la lunga e comprovata serie di crudeltà perpetrate durante gli ultimi anni di guerra


La giornata

Articolo_Luigi_Allerino_n_0

Il mattino del 23 febbraio precedono la truppa, che batte a tappeto le campagne divisa in piccoli gruppi, tre spie in abiti borghesi che secondo alcuni testimoni vengono scambiati per partigiani.
A Guarene viene catturato Filiberto Patrizi, un militare di 24 anni proveniente da Grottaglie di Castro (in provincia di Viterbo) sbandatosi l’8 settembre e rimasto bloccato al Nord dopo l’armistizio. Si guadagnava da vivere lavorando presso una famiglia di Guarene e per non compromettere chi lo aveva aiutato rifiuterà di fare i loro nomi (secondo una testimonianza lo ospitavano i mezzadri della cascina del parroco di Guarene, cascina San Giacomo, ma essendo stato catturato per strada i mezzadri non hanno subito ritorsioni).

Con lui a Guarene sono catturati Pietro Boasso, di 37 anni, residente a Fossano e partigiano garibaldino nella 14esima divisione Capriolo, anche lui nascosto dai mezzadri, e il civile Francesco Ferrero originario di Cherasco di 63 anni (l’età avanzata rende difficile motivare la sua cattura, probabilmente era parente di partigiani o ne nascondeva qualcuno in casa).
Le tre spie, arrivate a Castagnito da Guarene, all’incrocio della strada per Vezza D’Alba (dalla chiesa della Madonnina) si separano, una di loro sente la moglie del sarto Spirito Ferrero, la signora Rina, avvisare Rosa, moglie del calzolaio Battaglino, dell’imminente arrivo dei repubblichini cosi che questa possa far fuggire un soldato sbandato a cui lei e il marito davano rifugio. Sia il soldato che Rina Battaglino sono catturati all’arrivo della truppa in paese verso le 10 di mattina.

Altre case del paese sono perquisite e altri due castagnitesi vengono presi: Giacomo Giacosa, perchè padre di Luigi, partigiano garibaldino, e Stefano Cassinelli, anche lui sorpreso dalle spie mentre lavorava nei campi con il fratello Mario poco lontano dal suo nascondiglio. Aveva 21 anni e, come la maggior parte dei giovani della sua età che si nascondevano nella campagna, era rientrato a casa dopo l’8 settembre e non aveva ripreso le armi nonostante i bandi repubblichini. Gli ufficiali hanno poi pranzato nell’osteria in centro al paese (mentre i prigionieri erano rinchiusi sulla terrazza) facendosi servire da due giovani apprendiste sarte, Secondina e Clelia, catturate in casa Fiora dove erano ospiti di un’amica a pranzo. Le due ragazze, originarie della località Madernassa di Guarene, lavoravano nel laboratorio delle sorelle Rita, Ida e Maria che le ricordano terrorizzate dalla prepotenza dei fascisti.
Terminato il pranzo, nella piazza Cesare Battisti, i prigionieri sono costretti ad assistere alla fucilazione dei tre catturati a Guarene secondo un tragico modello intimidatorio che altri paesi del Roero hanno conosciuto. La gente del paese assiste impotente e terrorizzata da dietro alle finestre.

I primi paesi affacciati sulla valle Tanaro e più vicini ad Alba erano i più esposti a questo tipo di rappresaglie, per questo motivo a Castagnito, Guarene e Castellinaldo non operarono gruppi stanziali di resistenti che avevano invece le loro basi nei più defilati e impervi paesi delle rocche da cui potevano colpire le strade statali 20 e 29 verso Torino.
Dopo l’esecuzione, verso le quattro di pomeriggio, i prigionieri superstiti sono caricati su un autocarro al seguito della colonna che riprende la sua marcia verso Castellinaldo dove entra dalla via che immette nella piazza delle Aie.
Un centinaio di metri prima di entrare in piazza una targa ricorda il luogo in cui Stefano Cassinelli viene ucciso per mano del tenente Rossi con tre colpi di pistola alla nuca.
La signora Rina, che era incinta, e Giacomo Giacosa, dopo essere stati terrorizzati per ore dalle minacce e dalle esecuzioni a cui hanno dovuto assistere, vengono rilasciati alla sera a Govone, l’ultima tappa nota sul percorso della colonna (secondo altre testimonianze sono liberati solo il giorno dopo ad Alba). Il soldato che era nascosto dai Battaglino viene graziato perchè trovato disarmato e per salvarsi firma l’arruolamento nei repubblichini da cui riuscirà presto a disertare unendosi ai partigiani.
Questo fatto rende ancora più inspiegabile l’assassinio di Stefano Cassinelli, anch’egli trovato disarmato. Forse è un suo gesto di ribellione, un tentativo di fuga o il rifiuto di firmare l’arruolamento nella Rsi a costargli la vita ma personalmente ritengo che la sua esecuzione a Castellinaldo, come quella dei prigionieri di Guarene in Piazza Cesare Battisti a Castagnito, fosse dettata solo da un intento intimidatorio nei confronti della popolazione locale e che la scelta su quale dei due renitenti fucilare fosse quindi crudelmente arbitraria.

Gli Arditi di Alba, come gli altri famigerati gruppi volontari della Rsi, dimostreranno, nel giro di pochi mesi, di avere come principale arma quella dell’intimidazione di popolazioni inermi. Ciononostante dimostrarono ben presto tutta la loro fragilità di reparti raccogliticci che, tenuti uniti dal fanatismo di qualche fascista della prima ora, sbandarono di fronte alla risolutezza di poche decine di partigiani come accaduto nelle battaglie di Santo Stefano Roero e Sommariva Perno, anche perché composti di giovani obbligati a farne parte ma stufi di guerra, proprio come molti dei loro coetanei uccisi nei rastrellamenti.

0 QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. ZERO DI “ROERO TERRA RITROVATA”
PUOI SFOGLIARLO ONLINE QUI.

 
 

Commenta questo articolo per primo!