L’anno in cui Rousseau soggiornò a Govone

L’anno in cui Rousseau soggiornò a Govone

di Cinzia Ruella

Forse pochi sanno è che Rousseau trascorse un periodo della sua vita nelle nostre terre e, per la precisione, a Govone ove giunse all’età di 18 anni, quando già aveva alle spalle qualche esperienza culturale e, cosa comune agli illuministi, qualche viaggio. A Govone soggiornava in una casetta nelle dipendenze del castello, lungo l’ultimo tratto della salita ad esso, in modo da separarlo dagli altri servitori. Poco più di un anno di soggiorno a Govone ha lasciato tracce indelebili nella memoria del ginevrino: episodi divertenti, attestazioni di stima ed innamoramenti trascritti nella sua autobiografia.


Che Jean-Jacques Rousseau fosse nato a Ginevra il 28 giugno del 1712 è cosa risaputa, così come ben noto è il suo ruolo nell’ambito dell’Illuminismo francese ed europeo. Che la Nuova Eloisa, del 1760, il Contratto sociale e l’Emilio, entrambi del 1762, siano i suoi chefs d’oeuvre, è ben noto a molti.
Ma quello che forse pochi sanno è che tale genio ginevrino trascorse un periodo della sua vita nelle nostre terre e, per la precisione, a Govone.[1] Nello splendido paese del selvaggio Roero, il celebre filosofo calvinista giunse all’età di 18 anni, quando già aveva alle spalle qualche esperienza culturale e, cosa comune agli illuministi, qualche viaggio. Fuggito in giovane età dai perenti a cui era stato affidato (era orfano di madre), venne accolto da un parroco, il cui nome non ci è stato tramandato, in Savoia. Questi lo raccomandò ad una nobildonna sabauda che lo inviò a Torino all’ospizio dei catecumeni, affinché si convertisse al cattolicesimo, cosa che egli fece dopo una sommaria istruzione. Passò quindi, come servitore, in casa della contessa Vercelli, dove venne educato dall’abate Gaime, che egli prenderà, in seguito, come modello per un personaggio della Nuova Eloisa. Morta la Vercelli, trovò impiego in casa del conte Ottavio Francesco Solaro di Govone nel 1730, come lui stesso ci racconta nelle sue Confessioni, il suo capolavoro autobiografico pubblicato postumo dopo il 1778.

Un ritratto di Jean Jaques Rousseau.

Un ritratto di Jean Jaques Rousseau.

Il conte De La Roque mi accompagnò presso il conte di Govone, primo scudiero della regina e capo della illustre casata dei Solaro. L’aspetto dignitoso di questo rispettabile vegliardo mi rese più toccante l’affabilità dell’accoglienza. Egli mi interrogò con interesse ed io risposi con franchezza. Disse quindi al conte De La Roque che avevo una fisionomia simpatica e che promettevo del talento. Poi, rivoltosi a me, ragazzo mio, disse, in quasi tutte le cose i principi sono aspri, ma per voi non lo saranno molto Siate saggio e cercate di piacere a tutti, per ora non avete altro da fare; fatevi coraggio perché vogliamo prenderci cura di voi. Tosto mi presentò alla marchesa del Breglio[2], sua nuora e all’abate di Govone, suo figlio. Questo principio mi parve di buon augurio. Ero già abbastanza esperto per accorgermi che non si fanno tante cerimonie per l’assunzione di un domestico. In realtà non mi trattarono come tale: ebbi la tavola di servizio, ma non mi diedero la livrea, e quando il conte di Favria[3], giovanotto sventato, voleva farmi salire dietro alla carrozza, suo nonno proibì che io salissi dietro qualunque carrozza e che seguissi chiunque nel palazzo. Tuttavia servivo a tavola e dentro facevo il servizio di un domestico, ma lo facevo con una certa libertà. …”

A Govone soggiornava in una casetta nelle dipendenze del castello, lungo l’ultimo tratto della salita ad esso, in modo da separarlo dagli altri servitori. La famiglia dei Solaro era allora molto importante e dava personaggi al servizio del re di Sardegna e dello stato sabaudo tra cui, per esempio, il figlio di Ottavio, che si trovava a Vienna come ambasciatore dei Savoia. Rousseau accenna anche al suo mai rivelato innamoramento per la nipotina di Ottavio, marchesina di Breglio, con la certezza e “la mortificazione di essere nessuno, per lei”, come lo stesso filosofo ha scritto, con molta ironia, nelle pagine delle sue Confessioni.

Poco più di un anno di soggiorno a Govone ha lasciato tracce indelebili nella memoria del ginevrino: episodi divertenti, attestazioni di stima ed innamoramenti trascritti nella sua autobiografia, che non possono che renderci ancora più amato un personaggio grande nella sua estrema umanità.

Non sono fatto come nessuno di quelli che ho incontrati, oso credere di non essere come nessuno di quanti esistono. Se non valgo di più, sono almeno diverso”.

Diverso, infatti. Di quella diversità che lo ha reso unico e fondamentale nel panorama illuministico europeo e lo ha avvicinato, nella caleidoscopica molteplicità delle esperienze vissute, a noi, alla nostra terra, a Govone.

NOTE

[1] La bibliografia relativa alla permanenza di Rousseau a Govone è: Edoardo Borra, Govone e il Castello, Bertello edizioni, Borgo San Dalmazzo, 1986. Documenti autografi sono poi conservati nella biblioteca del castello di San Martino Alfieri, dove finì la maggior parte delle fonti primarie dell’archivio di Govone, quando il castello passò dai Solaro ai Savoia.

[2] Irene Perletto di Cortensone, moglie di Giuseppe Roberto Solaro.

[3] Figlio dei suddetti, seguì il padre ambasciatore a Vienna, dove frequentò l’accademia militare imperiale, poi prestò servizio nell’esercito piemontese.

0 QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. ZERO di “Roero Terra Ritrovata”
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