Dai Roero al Roero. Come da una famiglia ebbe origine un territorio

Dai Roero al Roero. Come da una famiglia ebbe origine un territorio

di Baldassarre Molino

Sin dal secondo quarto del Quattrocento alcuni paesi (Montaldo, Monteu, S. Stefano) presero nome del casato dei Roero che ne avevano signoria, anche se solo dall’ultima parte dell’Ottocento il nome si affaccia sull’area per imporsi gradualmente.

La storia dei luoghi è però sempre anche storia di nomi, che cambiano con il passare del tempo, perdendosi in epoche lontane.

La nostra storia ha inizio nel X secolo durante la lotta per il Regno d’Italia tra Berengario e l’imperatore Lodovico III di Provenza che, per garantirsi un alleato fedele e avere maggiore difesa contro le incursioni dei pirati Saraceni, effettua una serie di donazioni a favore del vescovo di Asti rendendolo così signore di una larga fascia che dalla città corre fino alle montagne.

Una di queste donazioni crea il primo fattore di coesione per l’area roerina. Nel 901, infatti, Lodovico III dona a cinque pievi dell’area (S. Vittore di Canale, S. Pietro di Novelle, S. Martino di Vezza, S. Giovanni “de villa” e S. Pietro di Piobesi) il vasto territorio tra la linea delle rocche e la pianura del Po.

I rapporti con Asti

Nel XIII secolo Asti, comune molto più potente e ricco di Alba, cerca le strade per i suoi mercanti nel settore da sud a sud-est: la via preferita è quella che, attraversando le colline, permette di puntare ai valichi. Ma l’area del Roero è totalmente in mano al vescovo d’Asti, dal quale dipendono per l’investitura feudale di Monteu e S. Stefano anche i conti di Biandrate, tradizionali nemici della città. Ne nasce una guerra.

In mancanza di una efficace tutela da parte del vescovo, le comunità danno vita a partire dal 1199 e lungo la prima metà del Duecento a un’alleanza che prende il nome di Astixium, da cui il nome di Astisio e Asteggiana che per secoli contraddistinguerà la nostra zona.

All’inizio lo scontro avviene presso S. Vittoria per il controllo della via principale di collegamento tra Asti e Pollenzo e da qui alla pianura: a farne le spese è l’ormai scomparsa Anforiano, citata dallo storico latino Plinio per i suoi famosi vasi di terracotta, che ne esce completamente distrutta. Poco dopo la metà del Duecento l’impari lotta dei castellani vescovili subisce il colpo più duro: la distruzione da parte di Asti si abbatte nuovamente sull’area canalese, sulla via per Montà e Pralormo, nel settore di Ceresole, Sommariva del Bosco e Caramagna: invano il vescovo lancia scomuniche contro il Comune che l’ha privato dei propri feudi.

Vengono fondate “villae novae” (Canale, Montà e Poirino), requisite terre ed esautorate le famiglie dominanti. In zona solo i Biandrate tentano di resistere all’espansione artigiana e nel 1290, alleati al marchese del Monferrato, riprendono la via delle armi, conclusasi con la cattura del marchese Guglielmo VII (morto dopo un anno e mezzo di prigionia in una gabbia ad Alessandria) e la resa dei vecchi feudatari vescovili.

Nell’Astisio la potenza economica e militare di Asti non ha confronti: il Comune acquistando o sottraendo possessi e giurisdizioni ai signori locali e scavalcando il vescovo nella supremazia feudale si trova ora a disporre di terre e diritti che possono essere ceduti a famiglie patrizie cittadine: i Malabaila, i Pelletta, gli Isnardi, i Damiano, gli Alfieri e, per l’appunto, i Roero.

Affresco quattrocentesco all'interno della Chiesa di Madonna dei Boschi a Vezza d'Alba.

Affresco quattrocentesco all’interno della Chiesa di Madonna dei Boschi a Vezza d’Alba (foto di O. Scarsi).

I Roero

Cercando un’origine alla famiglia che più ci interessa, scopriamo che dall’inizio del XIII secolo al pari di altre famiglie magnatizie astigiane svolgevano attività mercantile, affiancata pochi decenni dopo da quella del credito su pegno, con “casane” (simili alle nostre filiali bancarie) nelle Fiandre, in Germania, Francia e Svizzera. Sembra essere stato un Tommaso il primo del casato a fruire, nel 1277, delle nuove occasioni ottenendo a Priocca beni confiscati a nobili fuggiti in Puglia. Nel 1280 i Roero ottengono terre tra S. Damiano e Canale a fronte di un prestito ai “de Marcellengo”, i quali evidentemente non avevano subito la confisca ma erano a corto di mezzi. Per il momento, l’acquisto più consistente (e che forse denota una strategia di insignorimento nell’area) si ha nel 1287 ancora dai Marcellengo per necessità di denaro. Si tratta di una cinquantina di appezzamenti dislocati tra S. Damiano e Valpone con parte del castello (oggi Torrazzo). Significativo per questa strategia è l’acquisto nel 1299 di Monteu e S. Stefano dai Biandrate, i quali nel 1290 erano stati da poco costretti a patti. Nello stesso anno acquistano dall’abate di Breme metà di Castagnito (compresi i diritti feudali) scontrandosi per tale preminenza con l’episcopato astigiano, detentore dell’altra metà. Per gli anni successivi non risultano altri acquisti significativi da parte della casata, mentre il periodo sembra più favorevole ai Malabaila che nel 1341 ottengono dal vescovo la castellania di Monticello (uno dei luoghi più cari ai vescovi astigiani), nel 1349 comprano metà Piobesi dai De Brayda e nel 1351 cinque parti su dodici di Castellinaldo dai castellani “de Vicia”, a cui si aggiunge dieci anni dopo il tentatico di acquisire l’importante signoria di Sommariva Bosco. Sono acquisti fatti col denaro ottenuto ad Avignone, dove dal 1342 il papa Clemente VI li ha scelti a servizio della Camera Apostolica: un’attività che termina però nel 1362 con un fallimento che avrà riflessi anche sui possessi nel territorio roerino.

Stemma dei Roero sul capitello posto nel cortile interno del Castello di Monteu Roero  (Foto tratta da www.castellodimonteu.it)

Stemma dei Roero sul capitello posto nel cortile interno del Castello di Monteu Roero
(Foto tratta da www.castellodimonteu.it)

L’età d’oro dei Roero

Nel 1362 Guglielmo acquista dagli Isnardi per 5115 fiorini astensi il luogo strategico di Fortepasso (un punto guadabile del Po tra il Borgo Salsasio di Carmagnola e Villastellone), con diritto di costruirvi fortilizio e villaggio e con oltre 260 giornate di terreno. L’anno seguente lo stesso Guglielmo acquista dagli Acaia la signoria di Sommariva del Bosco per 25000 fiorini d’oro, per completare l’affare nel 1369 con l’acquisizione dall’abbazia di Casanova delle 1000 giornate della grangia di Fontana Spersa, sempre nello stesso territorio. Ancora nel 1363 Asti, gravata dalle spese per la guerra contro i Visconti, vende Montà al fine che non cadesse in mano al nemico a Berardo e Gottofredo Roero.

Dal 1372 al 1401 la casata continua il tentativo di diventare una signoria con l’acquisizione di località diverse:

– 1372: Poirino, venduta dal conte di Savoia ad Aimonetto Roero, confiscatagli nel 1409 per mancata fedeltà e assegnata nel 1427 a Oddone Roero;

– 1374: Ceresole e la frazione Palermo vendute dal comune di Asti per pagare le truppe mercenarie del duca di Brunswich ai fratelli Aimonetto, Antonio, Percivalle e Andrea;

– 1376: Monticello, affidato dal vescovo di Asti agli stessi fratelli per 15000 fiorini, tenendo conto anche delle spese sostenute per scacciare i Malabaila, resisi responsabili di angherie verso la popolazione. Nello stesso anno il vescovo infeuda loro anche l’altra metà di Castagnito;

– 1379: Canale, donato da Gian Galeazzo Sforza dopo la vittoria su Asti ai fratelli Antonio e Domenico per aiuti fornitigli; lo stesso anno Vitor Vagnone vende Guarene (appartenente al Marchese del Monferrato) e la metà di Piobesi (del vescovo di Asti) ad Aimonetto e fratelli;

– 1383: Ternavasso, venduta dagli Isnardi a Benedetto Roero. Sempre in questo periodo gli Isnardi cedono anche parte di Sanfrè e di Sommariva Perno;

-1401: Vezza, feudo della chiesa di Asti venduta dai De Ponte a Oddone Roero che cede a saldo due casane fra Breda e Rotterdam e crediti nei confronti di 224 debitori.

Con Vezza terminano in pratica le acquisizioni di signorie nell’area. Nel tempo l’attività commerciale e creditizia era diventata più rischiosa, mentre guerre, variazioni climatiche negative e flessioni demografiche indotte anche dalla Peste Nera la rendevano assai meno conveniente. Inoltre, alle cariche cittadine che andavano perdendo smalto e potere, diventare qualcuno nel contado, far fruttare le terre allodiali e feudali acquistate, acquisire patronati e (pur mantenendo casa e torre in Asti con altare privilegiato e tomba in duomo) risiedere in castelli che per posizione ed aspetto davano immagine al casato diventava sempre più occasione di prestigio e segno di ricchezza.

 

I rapporti con i Savoia

Stemma_roeroI Savoia iniziano a interessarsi del Roero in seguito al rifiuto da parte delle antiche “Terre di chiesa” della Contea di Asti nel cedere antichi privilegi in rapporto alle riforme e al rafforzamento del potere avviati dal duca Emanuele Filiberto e dal suo successore Carlo Emanuele I. Proprio quest’ultimo intravede nel Roero una preziosa base strategica per le sue mire sul Monferrato, ancora una volta contrastato dall’episcopato astigiano detentore formale delle investiture.

Ne nascono tradimenti e cospirazioni caratteristiche dell’età moderna: Francesco Panigarola, eletto vescovo nel 1587, tenace oppositore dell’ingerenza sabauda, muore avvelenato nel 1594; il diretto successore, Cesare Benzo, passa a miglior vita pochi mesi dopo l’elezione.

Il disegno sabaudo riesce con il vescovo Giovanni Stefano Aiazza, che nel 1611 vende le diciassette “terre” al Duca di Savoia in cambio di una pensione di mille scudi d’oro annui e il titolo di conte di Montechiaro. Le comunità oggetto dell’indegno scambio, sostenute in buona parte dai loro feudatari, faranno vertenza presso la Santa Sede per invalidare il contratto, ottenendo da parte del papa il rifiuto di ratificare l’atto, senza che questo modifichi di fatto le cose.

Dopo due anni di vertenze il Roero diventa così terra di approvvigionamento e di saccheggio per le milizie durante le guerre per il Monferrato.

Con l’ingresso fra i possedimenti sabaudi mutano i poli d’attrazione e varia l’importanza delle vie commerciali. Benché dalla fine del Cinquecento il vino prodotto nel territorio faccia capolino ai banchetti della corte da poco trasferita da Chambéry a Torino, la zona resta per la maggior parte condannata ad un’economia di sussistenza, sfavorita anche dalla morfologia stessa del territorio: la sua arteria principale di attraversamento deve superare la difficile Montà del Fango (la definizione risale ad almeno la metà del Duecento in riferimento all’odierna Montà) e il percorso trasversale da Alba alla pianura deve guadagnare ben due “summae ripae”.

Resta così un paesaggio di castelli e torri, santuari isolati e borghi in sommità ai colli, valli che si aprono e si richiudono in continuità a protezione di quel carattere aspro che ha origini tanto antiche che già i Romani bollavano con parole sprezzanti riferendosi ai Liguri che lo popolarono circa 2 mila anni fa.

Un territorio che dovrà attendere ancora molto, e subire ancora per molto, prima di riscattarsi dalla miseria e aprirsi al Mondo.

 

Bibliografia essenziale

  1. Molino, Roero. Repertorio storico, Bra 2005.
  2. Fresia, I Roero. Una famiglia di uomini d’affari e una terra, Cuneo 1995.

0 QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. ZERO di “Roero Terra Ritrovata”
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Vezzese, si occupa da oltre 20 anni di storia del Roero. Tra i primi difensori del patrimonio storico, è autore di una lunga serie di testi storici di rinomato valore. Punto di riferimento per diverse generazioni di storici locali, abbina il rigore del ricercatore alla disponibilità “pedagogica” verso chi condivide la sua stessa passione. Tra i suoi numerosi scritti, Vezza (1980), Il minutario del Beato Alerino Rembaudi (2007), Pollenzo (2003), Roero Repertorio Storico (2005).

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