Le leggende sul brigante Delpero.

Le leggende sul brigante Delpero. 150 anni tra storia e leggenda

di Milo Julini
L’esecuzione capitale di Francesco Delpero e dei suoi giovanissimi complici Giovanni Dogliani, Antonio Bonino e Giuseppe Piovano avviene a Bra il 31 luglio 1858, alle quattro del mattino, nel “Pasco”, il piazzale antistante alla stazione della ferrovia per Cavallermaggiore.

Assiste una folla imponente, formata soprattutto da persone giunte dalle campagne circostanti a Bra. «Alle cinque e mezza tutto era finito, e le turbe di que’ villici, profondamente commosse pel ricordo di quel tremendo esempio, ripigliavano silenziose i sentieri de’ loro abituri», così si concludeva la cronaca delle quattro impiccagioni riportata dal giornale torinese progressista “Il Diritto”.
In queste parole troviamo l’origine della leggenda di Delpero, costituita da narrazioni fatte nel corso delle veglie serali nelle stalle e tramandata oralmente fino ai nostri giorni.
La tradizione popolare ha profondamente modificato e rielaborato gli avvenimenti feroci e violenti della disperata avventura, riportandoli alla dimensione di una favola didascalica, conclusa dalla esemplare punizione del colpevole.

Punto nodale di tutti questi racconti è l’esecuzione capitale in Bra del solo Delpero: i complici sono completamente dimenticati.
Si narra che sul patibolo Delpero abbia chiesto come ultimo desiderio di poter vedere la madre e, quando questa giunse, lui, fingendo di baciarla, le morsicò con forza un orecchio, incolpandola di tutti i suoi mali, perché non lo aveva adeguatamente rimproverato e punito quando da bambino aveva portato a casa il primo pennino rubato, oppure un ago, un ago da balia, un ditale, una gallina, in ogni caso sempre oggetti di scarso valore: «Invece di punirmi mi dicevi: bravo, la prossima volta portamene due!».
Questo racconto era fatto da mamme, nonne e maestre a scopo educativo, talvolta omettendo il nome di Delpero, sostituito dalla semplice indicazione «un ladrone condannato a morte». E questa è poi la formulazione più corretta perché, in realtà, questa narrazione è una favola di Esopo, dal titolo “Il ragazzo che rubava e sua madre”, con la morale che ciò che non si reprime dal principio, continua a crescere.

Il bottino del primo furto era rappresentato dalle tavolette spalmate di cera, usate per scrivere, rubate a un compagno di scuola: «Non sarei arrivato al punto d’esser condotto al patibolo, se tu mi avessi picchiato quando per la prima volta ti portai a casa le tavolette rubate!». Questo racconto viene ripreso in tempi assai più recenti da Don Felice Cecca, Priore della Chiesa di Santa Maria Maddalena di Villafranca Piemonte, autore de Le veglie de’ contadini cristiani. Dialoghi famigliari-istruttivi-morali sopra le quattro parti della dottrina cristiana.
L’opera del parroco Felice Cecca compare in una prima edizione a Carmagnola nel 1799 ed in una seconda a Torino nel 1821, come riferito dallo studioso Luciano Cordero (1993).
“Nel dialogo XXIV, sopra l’educazione de’ figliuoli nel bene temporale”, parlando di genitori che istigano i figli ai furti di campagna, il Cappellano, personaggio che dà voce a don Cecca, racconta questa favola di Esopo, concludendo: «I genitori, che vogliono procurare il bene temporale a’ suoi figliuoli, debbono allontanarli, mentre sono ancor piccoli, dal furto, e dalle occasioni del furto, e castigarli con rigore se pigliano la roba altrui».

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Vignetta di Francesco Redenti che ironizza sulla notizia – poi rivelatasi falsa – che il ministro dell’Interno Urbano Rattazzi si fosse recato ad Alba per dirigere di persona le indagini sulla banda Delpero. (Il Fischetto, 6 agosto 1857).

Delpero diviene così leggendario nel Roero e nelle Langhe incarnando il protagonista di una favola di Esopo, ampiamente diffusa a scopo educativo grazie ai libri di don Cecca, tanto che della veridicità dell’episodio molti sono ancora oggi convinti e sostengono che loro antenati, più o meno prossimi, vi hanno assistito.
All’aneddoto della madre, più radicato e diffuso, si unisce poi una serie di racconti sulle imprese di Delpero: alcuni temi sono ricorrenti ma talvolta il narratore inserisce qualche informazione personale, tramandata nell’ambito familiare.
La tradizione popolare attribuisce le sue infelici scelte di vita alla cattiva educazione ricevuta in famiglia. A casa sua, Delpero divide il pollo, assegnandone la testa al padre, capo della famiglia, le zampe alla madre, galoppina di casa, le ali alla sorella, destinata a convolare a nozze. Tiene il resto per sé, visto che lo definivano il corpo morto della casa. Poi si dà alla vita del malfattore. Inizia così un consistente corpus di leggende su Delpero raccolte da don Antonio Bergadano nel suo libro Voci di Langa (1982).
Delpero è un gran bell’uomo, batte le campagne e teatro delle sue principali imprese sono le colline di Marene, in particolare il “Brich Mamào” (Montemaggiore). In ogni paese vi è qualcuno che assicura di conoscere ancora il suo nascondiglio. È dotato di quella grande agilità che la voce popolare attribuisce sempre ai malfattori: inseguito dai carabinieri, supera con un salto una bealera larga circa sei metri, tra lo stupore e lo sbigottimento dei suoi inseguitori. Le forze dell’ordine, con Delpero, fanno spesso brutte figure: i carabinieri lasciano i loro cavalli fuori della osteria “America”, in regione Boschi di Pocapaglia, per andare a bere un bicchiere. Delpero taglia i sottopancia dei cavalli poi chiama i gendarmi a gran voce, dicendo chi era. I militari escono di corsa, infilano i piedi nelle staffe e cadono tutti per terra. La stessa bravata, ad onor del vero, è attribuita anche a Mayno della Spinetta, celebre brigante alessandrino fiero oppositore della dominazione napoleonica.

Un giorno Delpero sente delle lavandaie che al fiume ciarlano di lui e le rimprovera dicendo loro che è divenuto fuorilegge per colpa di un prepotente; pur scusandole in parte perché donne vuole punirle: si toglie una scarpa e somministra loro una energica sculacciata.
Soltanto salti prodigiosi, beffe e sculacciate, senza precisi agganci nella realtà? Affiora talvolta qualche elemento più vicino alle crudeltà autentiche, in particolari nei comuni dove sono avvenuti i delitti. Si è così costituito anche un filone “nero” leggendario, con riscontri nelle vicende reali.
A Pocapaglia, fino a pochi anni or sono, un personaggio locale narrava della uccisione dei due ragazzi nella cascina di Giovanni Brizio, aggiungendo raccapriccianti particolari di fantasia sullo scempio del volto del cadavere della ragazza.
A Vaccheria di Guarene, si narra che, in un giorno di fiera, Delpero dopo aver fatto spavaldamente il giro delle bancarelle del mercato e avere alla sera assaltato la cascina Merlo, avesse ucciso nella cantina una giovane donna. La donna realmente uccisa da Delpero, Delfina Scaparone, aveva cinquant’anni. Probabilmente la voce popolare l’ha ringiovanita per rendere più credibile un tentativo di violenza carnale – in realtà mai avvenuto! – da parte di Delpero. Un vecchietto di Vaccheria spergiurava di aver visto con i suoi occhi il cadavere della giovane donna.

Sempre in tema di crudeltà, si narra che Delpero uccide il proprio figlioccio sulla strada che collega Vezza ad Alba, dove il ragazzo lavora al traino dei carri: riconosce Delpero mentre passa e questi non esita ad ammazzarlo. Un’altra versione riferisce che Delpero uccide un bambino per dimostrare ai compagni di non provare pietà per nessuno.
Delpero batte le campagne con la sua numerosa banda: un giorno, vedendo un contadino che, arrampicato su di un gelso, raccoglie le foglie per i bachi da seta, scommettono tra di loro se cadrà con la testa o con i piedi verso il basso; poi, per controllare, gli sparano. Spesso Delpero, mentre vaga per le campagne, per provare le armi e tenersi in esercizio, spara alle persone che raccolgono le foglie per i bachi da seta sulle piante di gelso.

Ma Delpero trova ancor oggi persone disposte a difenderlo: dicono che era accusato di molti crimini ma chissà se li aveva commessi veramente e che era comodo dare a lui la colpa di tutti i misfatti. Avvenimento tipico, che fa parte della mitologia familiare di alcuni narratori, è un incontro con Delpero. È lunga la serie di coloro che fanno un tratto di strada con uno sconosciuto che poi si rivela essere Delpero. Loro ne parlano male, lo accusano di molti crimini, poi al momento di lasciarli lo sconosciuto si fa riconoscere come Delpero e dice di non essere poi tanto cattivo…
Incontrare Delpero è una esperienza di cui vantarsi per una vita, ma non esente da pericoli: una donna di Vezza rimane di sasso, quando di sera, al ritorno dalla campagna, Delpero la saluta. Può capitare di peggio: a Montaldo Roero un contadino muore per lo spavento provato nell’incontrare Delpero all’improvviso. In ogni caso, Delpero in questi incontri si mostra rispettoso delle istituzioni: sul “Brich Mamào” ferma un portalettere ma, dopo averlo riconosciuto, non lo molesta, come raccontava il braidese professor Edoardo Mosca.
L’incontro con Delpero può anche assumere valenze di tipo morale, come a Villafranca Piemonte dove un cocchiere trasporta più volte Delpero. Un giorno, il famoso brigante vuole consegnargli una valigia, dicendogli che risolverà tutti i suoi problemi. Il cocchiere però rifiuta, dice che è sempre stato onesto, che ha famiglia numerosa e che vuole continuare a mantenerla col suo lavoro: «Forse quella valigia ha fatto la fortuna di altre persone», conclude la nipote del vetturale, intervistata da Paolo Groppo (1992).

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Frontespizio e alcune pagine di libri edificanti che stigmatizzavano i crimini della banda Delpero.

Altre famiglie vantano addirittura una vittoria su Delpero: un fabbro di Santa Vittoria vince una forte somma a Delpero, giocando a carte, di notte, lungo la bealera di Cinzano. Poi scappa con la scusa di un bisogno naturale: Delpero va a cercarlo ma non lo trova, ben nascosto nel fienile e infuriato spara u

na pistolettata nel muro. Soltanto il tradimento assicura Delpero alla giustizia: per arrestarlo, un carabiniere riesce ad infiltrarsi nella banda e ad ottenere la sua fiducia, poi, una sera, in una osteria gli mette qualcosa nel bicchiere per farlo addormentare e così Delpero è catturato. Al momento della esecuzione, a Bra, Delpero scorge tra la folla colui che lo ha ingannato e gli rivolge queste parole: «Se avessi saputo che eri un carabiniere travestito, più di cento volte ti avrei bruciato le cervella!».
A Vigone si dice, invece, che Delpero è finalmente arrestato al “Albergo dell’Orso” alla vigilia della fiera delle noci: un infiltrato nella banda, sapendo che i carabinieri sono all’erta, quando li vede entrare, rovescia il tavolo su Delpero, immobilizzandolo e facilitandone così la cattura. Di fronte ai militari, Delpero non fa in tempo ad estrarre la pistola, poi, dopo l’arresto, spera ancora di essere liberato dai complici durante il trasferimento a Pinerolo: pur legato, continua a ripetere «Non sono ancora a Pinerolo!». Delpero viene trasferito a Pinerolo con un carro ma non lo fanno salire: lo legano dietro e lo conducono a Pinerolo a piedi, come punizione ed umiliazione.

Giuseppe Tuninetti, nella sua recente biografia di San Giuseppe Cafasso, ricorda che «… mio nonno a Polonghera, ancora ci raccontava di [Delpero] attorno agli anni ‘50».
Hanno contribuito ai racconti popolari su Delpero anche scrittori di storie locali che si sono inconsciamente trasformati in cantastorie, riprendendo molti particolari di fantasia, tramandati oralmente, poi frettolosamente presentati come verità storiche.
La descrizione dell’esecuzione avvenuta in Bra è stata così di fatto riscritta, con connotati profondamente diversi da quelli reali: sarebbe avvenuta nella piazza del Municipio di Bra, con i banditi portati al patibolo a piedi, fra due ali di popolo. Lungo il tragitto, Delpero chiede ad una fruttivendola qualche frutto che mangia camminando, con le manette ai polsi. Delpero sale per primo sul palco – in realtà i due pali ritti della forca sono semplicemente piantati nel terreno ed il palco esiste soltanto nell’immaginario collettivo! – e quando gli infilano il capestro ha una violenta ribellione, contro il boia, oppure contro il confessore, addirittura contro don Giuseppe Cafasso, tanto da dover essere tenuto fermo da più persone.
Prima che il laccio lo stringa, Delpero lancia una occhiata alla sorella di Dogliani, forse l’unica persona che avesse amato, e le urla «Ciau Rosëtta, arvëdse ‘nt ël paradis dle òche» (Ciao Rosetta, arrivederci nel paradiso delle oche!).
Si dice, infine, che il corpo di Delpero, rifiutato dal cimitero di Bra, sia sepolto nel corridoio dell’ingresso secondario della chiesa di S. Giovanni Decollato o della Misericordia, meglio nota come chiesa dei Battuti Neri.
Per tutto questo patrimonio culturale popolare, valga la conclusione di Luciano Bertello (1989): «La figura del brigante è un bisogno culturale, una ingenua rivincita dei vinti, un immaginario dove il misero diventa per una volta protagonista e padrone del destino e delle sorti di chi ha roba. Nel nostro caso l’operazione ha dell’incredibile, ma è perfettamente riuscita: della brutale violenza del Delpero non c’è più traccia, i tre mesi di brigantaggio diventano un tempo indefinito, la cattura è possibile grazie alla soffiata, l’origine di tutti i mali è una madre scriteriata, il protagonista racchiude in sé al massimo grado l’astuzia, l’audacia, la forza, il coraggio. Peccato soltanto che ci siano i documenti a contraddire la romantica rielaborazione popolare».

Per completezza, oltre alla leggenda orale, dobbiamo ricordare una leggenda “scritta”, in prevalenza ottocentesca.
Quando il ricordo delle sue malefatte è ancora vivo, Delpero viene ricordato in libri e in pubblicazioni, di diversa origine ed ispirazione, che ne enfatizzano le crudeltà e il ravvedimento in punto di morte, senza dimenticare di esaltare il coraggio dei carabinieri che lo hanno arrestato.
È il caso del foglio volante intitolato Francesco Delpero – Canzone e del volumetto anonimo Storia dei ladri nel regno d’Italia, pubblicato a Torino nel 1872. Verosimilmente opera di don Giacomo Margotti, giornalista e polemista cattolico intransigente, riconduce le malefatte di Delpero alla depravazione antireligiosa del periodo risorgimentale.
Anche un altro sacerdote, Luigi Nicolis di Robilant, biografo di San Giuseppe Cafasso (1912), narra la conversione di Delpero operata dal Santo nel carcere di Torino. Il Cafasso non poté assistere Delpero in punto di morte ed uno dei sacerdoti braidesi presenti all’esecuzione si recò a Torino per rassicurarlo della buona morte dei quattro giustiziati. Una versione forse un po’ idillica, ma non infondata, visto che il ravvedimento di Delpero in punto di morte è sicuramente accertato.
Francesco Delpero è ricordato da Edmondo De Amicis in “La Ginevra italiana”, un capitolo del volume Alle porte d’Italia (1892). Edmondo narra di avere letto, passeggiando per Pinerolo, questo annuncio di un teatro di marionette: «Questa sera si rappresenta: Le gesta e avventure del famoso bandito Delpero da Canale arrestato dal vice brigadiere dei carabinieri Luigi Gamalero, attualmente in riposo a Torre Pellice». Dall’arresto sono passati circa venticinque anni. De Amicis si reca a Torre Pellice per intervistare il Gamalero e ne ottiene una colorita narrazione. Il racconto di De Amicis, ed anche testimonianze assai più vicine a noi, riferite a Guarene, ci provano l’esistenza di un teatro di marionette e burattini ispirato a Delpero.
Nel 1990, il Teatro Popolare Langhe e Roero ha rappresentato “…La borsa e la vita” – Il brigante Delpero detto il Rejnerone con testo di Luciano Bertello e Nino Bonino. Il comune di Pocapaglia, negli ultimi anni, ha più volte ricordato Delpero nel corso di manifestazioni come “Città Aperte”. Gli articoli su questa rivista di chi scrive hanno traghettato Delpero nel terzo millennio. Per un feroce e spietato assassino non è cosa da poco!

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Francesco Delpero, il bandito che fece tremare il Re, di Milo Julini
– L’arresto del brigante Delpero, di Edmondo De Amicis
 – Giustiziata la banda Delpero, da Cronache della Divisione

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