La storia di Canale prima della “villanova”

LA STORIA DI CANALE PRIMA DELLA “VILLANOVA”

di Baldassarre Molino

 

Una questione di viabilità

Sin dall’età romana la valle del Borbore era stata preferita a quella del Tanaro per raggiungere da Asti l’alta pianura padana e, quindi, i valichi delle Alpi Marittime; una scelta che, con l’espansione del cristianesimo, si conferma con la fondazione di un consistente numero di pievi lungo il percorso. Il rifiorire dei commerci all’inizio del secondo millennio vede già Asti in posizione di rilievo, tanto che il vescovo Oberto ottiene nel 1037 dall’imperatore Corrado II il transito gratuito dei mercanti astigiani e delle loro merci per tutti i suoi stati[1], dove le direzioni prevalenti erano verso la Francia. Nel 1098 (ossia pochi anni dopo la formazione ad Asti del comune) il conte di Savoia Umberto II stringe alleanza con il vescovo e la cittadinanza, esonerando anche i mercanti astigiani dai pedaggi sulle sue terre «ultra montes et ex hac parte montium»[2].

Lungo il secolo seguente il comune di Asti affina la propria autonomia in accordo col vescovo, dovendo difendersi dalle mire espansionistiche di Bonifacio del Vasto e, nella seconda metà del secolo, lottando con gli altri comuni contro l’Impero di Federico I detto Barbarossa. Alla morte dell’imperatore, nel 1190, il cronista astigiano Ogerio Alfieri ci informa su quello che era il dominio di Asti, onde sappiamo che «in valle Canalium» il comune possedeva solo Tigliole Inferiore, ma nessun possesso aveva sotto Antignano e nell’Astisio (corrispondente in buona parte all’attuale Roero), in un’area compatta pressoché tutta soggetta alla Chiesa d’Asti, ma dove Asti inizia a cercare alleanze e, il 13 giugno 1193, stipula con Alba una “concordia e unità” che include, fra l’altro, la clausola che gli acquisti a sud di Govone e Castagnole delle Lanze siano di Asti fino a quattro miglia da Alba[3]. Forse da parte di Alba si ha l’impressione che certi patti non siano troppo equi e che sia meglio cautelarsi con altre coalizioni: due mesi dopo gli albesi iniziano a cercare alleanze, specie in Langa, con dòmini del contado e comunità rurali mediante l’istituto del cittadinatico che, con l’acquisto di una casa in città e l’impegno a pagare il fodrum forniva benefici ma impegnava anche al reciproco aiuto.

La “concordia e unità” di qualche anno prima è ormai sorpassata. Nel 1198 le alleanze verso entrambi i comuni aumentano e nel marzo dell’anno seguente Alba si lega anche ai castellani dell’Astisio («de unitate et concordia Astexii»), legati alla Chiesa d’Asti[4]. Asti passa alle armi e nel maggio del 1201 costringe già Alba alla pace[5]. Quindi, nell’aprile del 1202, firmano la pace anche i castellani vescovili dell’Astisio[6] che, tuttavia, l’anno seguente tornano a stipulare patti con Alba, poi si legano ai vari marchesi dell’area in un’alleanza dichiaratamente militare[7]. La guerra diventa così inevitabile e le sorti sono a favore di Asti, che distrugge l’antico insediamento di Anforianum, presso S. Vittoria: è in pratica la sistemazione (a somiglianza dell’antica pax romana) di un primo tratto dell’antico percorso citato all’inizio, dopo che nell’agosto del 1207 i castellani dell’Astisio erano stati costretti a chiedere la pace.

La vendita dei de Canalibus / de Laureto ad Asti

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Frammento di capitello decorato e testa zoomorfa, risalente al dodicesimo secolo, inserito nella muratura esterna della cappella di San Vittore a Canale e proveniente dalle decorazioni della scomparsa pieve di San Vittore che corrispondeva all’abitato di Canale Borgo, abbandonato dai suoi abitanti in seguito alla fondazione della villa nuova. (Immagine tratta da “Lineamenti d’arte nel Roero”, Walter Accigliaro).

Fra tregue e scontri, Asti continuava nella sua politica tesa ad assicurare percorsi sicuri ai suoi mercanti. Nell’area canalese ottiene nel 1226 una promessa di cittadinatico da Giacomo de Canalibus e fratelli per le sue terre di Loreto e Belvedere di Montà[8] (già presso i Ghioni) e da Guglielmo de Desaya per Anterisio e Desaya[9].

Il passo più importante il comune di Asti lo compie però il 3 settembre 1242 quando, parte per acquisto e parte come dono, riceve dai de Canalibus / de Laureto i loro diritti su buona parte della conca canalese e su zone limitrofe. Per le quote di giurisdizione cedute i venditori avevano sempre prestato omaggio come vassalli alla Chiesa d’Asti, sudditanza che non viene ripetuta dal comune acquisitore, onde scatta qualche tempo dopo una tardiva scomunica da parte del vescovo d’Asti (poi rientrata), con la conseguente totale perdita di giurisdizione della Chiesa d’Asti su diverse località dell’area. Occorre dunque rifarsi alla vendita del 1242 per comprendere l’entità di tale perdita.

Diritti, sudditi e terre descritti nei quattro dettagliati atti che documentano il contratto[10] riguardavano prima di tutto l’area canalese alla sinistra del rivo di Montà e, più a valle, entrambi i versanti del Borbore, mentre questo faceva da confine nella sua parte a monte, ossia da Canale verso mezzogiorno. Ne restava fuori la parte a sud-ovest del territorio delimitata dai due rivi, all’epoca spettante ai signori di Anterisio: una parte piccola, ma in grado di controllare il traffico mercantile sulle due importanti vie per Montà e per Pollenzo-Alba.

L’area canalese ceduta comprendeva vari insediamenti, con relative chiese e opere forti. Il più importante era Loreto, con un castello che all’epoca era stato costruito solo da pochi decenni in sostituzione di quello dell’antica Canale e con la chiesa di S. Maria. Nel sito dell’attuale concentrico sorgevano modesti insediamenti: uno attorno ad una chiesa dedicata a S. Stefano (nel sito della parrocchiale attuale); altri (Montorono, Montiaglio), verso ponente, legati a una chiesa dedicata a S. Andrea. Verso levante sorgevano i due insediamenti principali della Canales del tempo, ossia il Borgo (di origini romane), legato alla pieve di S. Vittore e a quella di S. Martino, e “Canale vecchio” (la parte antica di Valpone, il Borghetto), con le chiese di S. Secondo e di S. Silvestro, sotto la protezione del Torrazzo (sopra le case Oesio) e del Castelvecchio (ora Bric Torrione). Sui rilievi successivi sorgevano insediamenti minori (Montorino, Brina, ecc.), legati alle chiese di S. Pietro e di S. Nicola che sorgevano nel basso, a lato dell’antico percorso d’età romana. Dall’altro lato del Borbore si trovava il feudo di Castelletto, con un castello e una chiesa dedicata a S. Siro sul rilievo a lato delle attuali case Binelli.

Fuori degli attuali confini canalesi, terre e diritti ceduti erano consistenti, speciealmente nella zona di Montà, comprendendo (i documenti non specificano se in tutto o in parte) gli insediamenti di Morinaldo (con la chiesa di S. Bartolomeo), Montà, Turriglie (con la chiesa di S. Martino), Tuerdo (con la chiesa di S. Nicolao) e Belvedere (presso l’attuale borgata Ghioni), oltre a vaste distese boschive nelle zone collinari delle “fini superiori” di Montà. Passano ad Asti anche quote di feudo di Priocca (con circa ottanta nuclei familiari) e diritti e possessi in Castellinaldo, Castagnito e Cisterna.

ROMA

Nell’immagine, particolare con la rappresentazione della zona del basso Piemonte tra Alba, Asti e Torino) in una delle carte dipinte a fresco da Ignazio Danti nel ciclo dell’Italia Geografica sec. XVI). Il ciclo di mappe si trova a Roma, Città del Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche  (immagine tratta dal volume di W. Accigliaro, “Roero. Repertorio Artistico”, Bra 2009) Si possono notare, insieme ai paesi ancora esistenti, alcuni centri oggi scomparsi che facevano anch’essi parte della coalizione dell’Astisio, un’alleanza militare tra il comune di Alba e la maggior parte dei signori e delle comunità della sinistra Tanaro nata per opporsi all’aggressiva politica di espansione astigiana. Il prevalere del comune di Asti nei ripetuti scontri per l’egemonia nella zona porterà alla distruzione e all’abbandono di molti di questi antichi centri (come Brina, Castelletto, Canale vecchio, Canale Borgo, Montorone, Anterisio, Loreto, Morinaldo e Tuerdo) i cui abitanti andranno a popolare la villa nuova di Canale.

I conti di Biandrate e i signori di Anterisio

Dalla metà del secolo precedente nei feudi di Monteu e Santo Stefano era insediato un ramo dei conti di Biandrate (che prendevano nome da un feudo presso Novara) – originatisi dai conti di Pombia (altra località a nord di Novara) – che nel 1034 avevano ottenuto dall’abbazia di Nonantola mediante uno scambio terre nella nostra zona e nell’area verso il Chierese. Alla metà del XII secolo uno dei Biandrate, Oddone, sposa la figlia di Rodolfo di Monteu e ottiene la signoria di Monteu, che l’imperatore Federico I (il Barbarossa), con un diploma del 1152, gli riconosce assieme ad altre terre e alla contea di Porcile, comprendente diversi insediamenti nell’agro di Poirino e verso Chieri. L’anno seguente il conte Guido di Biandrate si fa vassallo per Monteu del vescovo d’Asti, che gli concede anche parte della signoria di S. Stefano.

Alla metà del ’200, della passata unione di castellani dell’Astisio erano rimasti pressoché solo i Biandrate a contrastare la potenza astigiana. Dai possessi canalesi e montatesi, passati ad Asti nel 1242, li divideva la fascia di territorio in possesso dei «dòmini de Anterixio», mentre quella dei «de Desaya», estesa a destra del rivo di Montà (ossia nelle parti inferiori degli attuali territori di Canale, Monteu e S. Stefano), prolungandosi nelle “fini superiori”, oltre i Piloni di Montà, tra la valle del Rioverde e quella di S. Lorenzo (dove sorgeva l’insediamento di Desaia) fino al Castiglione di Pralormo, li divideva dalla citata contea di Porcile. L’insediamento più importante che i Biandrate ambivano avere era quello di Anterisio, ubicato nella parte inferiore della Valle dei Longhi, con un castello e varie chiese (S. Maria di Mombirone, S. Michele, S. Giacomo, S. Guglielmo, S. Andrea di Valgorra) dislocate sul territorio a sottolineare la vivacità insediativa di un’area che confinava con le due importanti direttrici del traffico astigiano sopra citate e che i Biandrate progettavano di ostacolare.

A convincerli a compiere un nuovo passo era forse stato il trattato del 5 marzo 1250 col quale, sotto ombra di un reciproco cittadinatico, Asti aveva costretto Alba alla pace e, fra l’altro, ottenuto di potersi fortificare nell’Astisio fino a tre miglia da Alba[11]. Per i Biandrate era una minaccia seria, troppo vicina al loro caposaldo di Monteu, onde cercano di ampliare la loro zona d’influenza nel tentativo di prevenire l’avversario. L’11 ottobre 1252, nella valle di Rubiagno (in territorio di Vezza, ma al confine col feudo di Anterisio), il conte Manuele di Biandrate, anche a nome dei fratelli, acquista da Berrono e Tebaudo di Ceresole (dei “dòmini di Anterisio”) le signorie di Anterisio e Desaya per 1350 denari astesi, pagabili non subito ma gradualmente, con garanzia della quota di Ceresole dei Biandrate e la sicurtà dei consignori di Sommariva del Bosco, Sommariva Perno e Montaldo Roero; al contratto assiste anche il vescovo d’Asti in qualità di superiore feudale dei contraenti[12]. Doveva essere un’operazione speculare per bilanciare gli acquisti fatti da Asti dieci anni prima, ma essi non dispongono di denaro, anzi, il successivo 22 marzo prendono a prestito altre 300 lire astesi dagli stessi venditori, con promessa di restituzione entro un mese e con pegno sul feudo di Tegerone (presso Poirino).

Probabilmente prendono anche possesso del nuovo acquisto, ma li tradisce la loro condizione di debitori. Il 30 dicembre 1255, con un’azione che si configura come un vero e proprio tradimento, Berrono e Tebaudo vendono ad Asti il credito residuo (1170 lire) che hanno verso i conti di Biandrate in relazione alla vendita di Anterisio e Desaya e al successivo prestito. Le conseguenze per i conti di Biandrate e per tutta l’area saranno drammatiche.


La resa dei conti

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Altorilievo, risalente ai decenni prossimi all’anno mille, raffigurante Cristo benedicente con alla sua destra la Madonna e alla sinistra San Vittore, posizionato sopra l’ingresso della cappella di San Vittore a Canale. Questa cappella campestre sorge sul medesimo sito dell’antica pieve di San Vittore che costituiva il più importante luogo di culto dell’area canalese prima della fondazione della villa nuova. (Immagine tratta da “Lineamenti d’arte nel Roero”, Walter Accigliaro).

 

In quegli anni Asti era impegnata, fra tregue e azioni belliche, con Tommaso II di Savoia: il motivo, come nel settore di sud-ovest (valle del Borbore e comitato di Loreto di Costigliole), era sempre quello della tutela dei mercanti astigiani diretti oltre i monti o verso il mare. Il 18 gennaio 1256 Asti stipula accordi col comune di Torino e ottiene, fra l’altro, il libero passaggio dei mercanti astigiani diretti alla valle di Susa e, in maggio, si accorda col conte di Savoia, ma riprende la guerra con i castellani dell’Astisio, i marchesi di Monferrato e Saluzzo e i conti di Biandrate, forse con esito non favorevole ad Asti, che chiede la pace, stipulata il 5 novembre e per la quale, fra l’altro, s’impegna a far pace con i Biandrate e a non costruire «villae novae» a ponente di Bra e Sommariva del Bosco, ossia verso le terre dei marchesi di Saluzzo e dei conti di Savoia[13]. Il 31 maggio 1257 un’ulteriore “pace e concordia” fra Tommaso di Savoia e Asti (con la liberazione del conte, da alcuni mesi ostaggio degli astigiani) doveva porre fine alle operazioni belliche, ma Tommaso, liberato ai primi di luglio, riprende subito le armi a fianco di Manuele di Biandrate. Questa volta la guerra, anche se probabilmente di breve durata, tocca in maniera diretta e pesante la nostra area, dopo che pochi mesi prima aveva raso al suolo Loreto di Costigliole ed eliminato così la potenza feudale di Manfredi Lancia dall’altra parte del Tanaro.

Narra il cronista astigiano Guglielmo Ventura, vissuto nella seconda metà del ’200: «Intesi dagli anziani che il conte Manuele di Biandrate, signore di Monteu, verso il 1250 fece sequestrare trosselli di panno, per cui gli astigiani, radunato l’esercito, gli sottrassero le sue ville e dagli uomini di dette ville furono edificate Buttigliera, Poirino, Montà e Canale»[14]. Come già riferito, oltre alla fascia di territorio acquistata nel 1252, i conti di Biandrate possedevano da tempo, infatti, vari luoghi quasi in continuità fino a Buttigliera d’Asti: questa volta la guerra coinvolse tutti gli insediamenti compresi nelle terre nemiche, i cui abitanti, costretti a stabilirsi nelle ville di nuova fondazione, diventavano così meglio controllabili.

Il racconto del Ventura, pur prodigo di dettagli per eventi di vario genere in altre parti della penisola, si limita dunque a poche parole per l’azione bellica che sconvolge nel 1257 la nostra area, così come lapidario è il suo resoconto per l’ultimo atto della guerra contro i conti di Biandrate del 1290: una specie di damnatio memoriae sull’area canalese e, ancora di più, su quella montatese. Di conseguenza nulla sappiamo del trattamento riservato ai vecchi insediamenti, ma si deve riconoscere che Asti aveva la signoria su di essi (parte a seguito dell’acquisto nel 1242 dai consignori di Loreto e parte, principalmente Anterisio e Desaia, per l’acquisto del relativo credito che avevano i rispettivi consignori verso i Biandrate), quindi poteva esercitare pressioni sugli abitanti, per la maggior parte costretti a confluire nelle “villanove” di Canale e Montà. Una parte minore si stabilì a Santo Stefano e Monteu, località che Asti non assale; pochi esuli (come i «de Anterixio» che troviamo in seguito a Monticello) cambiarono decisamente zona.

Gli abitati di Anterisio e Desaya furono distrutti e non risorsero più, tanto da non lasciare più traccia né memorie; i loro territori furono disgregati e spartiti fra Canale, Montà, Monteu e S. Stefano. Più a nord, andarono distrutti i castelli dei Biandrate di Porcile, Stoerda e Tegerone. Gli insediamenti già dei «de Laureto» (Loreto, Castelletto, Belvedere di Montà, Morinaldo, Montorino, il Borghetto di Valpone, il Borgo di S. Vittore, ecc.) furono evacuati e tornarono a ripopolarsi solo tre secoli dopo. Tutte le chiese dell’area persero le loro prerogative (accentrate nelle “villenove” di Canale e Montà). La pieve di S. Vittore, a motivo della sua antica dignità, si mantenne ancora fino all’800, ma sempre più degradata. La chiesa di Loreto, invece, arricchita nel ’400 di un prezioso affresco, sopravvisse e mostra ancora oggi con orgoglio la sua duecentesca abside romanica.

Nel novembre del 1257 Manuele di Biandrate e Tommaso II di Savoia firmano e giurano la tregua con Asti. Poco dopo iniziano i lavori per la “villanova”, che (seppure ben lungi dall’essere completata in tempi brevi) risulta già abitata nel 1260.

 

 

Vocabolario storico:

(*) Dòmini o anche dòmini loci. – Erano i “signori del luogo”, in quanto esercitavano la giurisdizione su beni e persone, in nome e per conto dell’autorità costituita (vescovo, imperatore, ecc.) e, avolte, anche “contro” l’autorità stessa.

(**) Cittadinatico e fodro – Talvolta, specie nei comuni minori, il cittadinatico appare come la stipulazione di un reciproco impegno da parte del contraente e dell’ente per convenienza di entrambi, senza particolari clausole punitive o finalizzate a un incremento militare e politico. Ad Alba, ad esempio, parecchi possessori del contado stipulano, all’inizio del XIII secolo, il cittadinatico sottoponendosi alla giurisdizione comunale e impegnandosi a pagare un’imposta straordinaria (il fodro) per ricevere in cambio un trattamento analogo a quello dei cittadini residenti, esentati da pedaggi particolari e garantiti dalla difesa del comune: è difficile in questo caso pensare che i neocittadini si siano trasferiti definitivamente in città, né forse al comune interessava particolarmente. (da La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV), a cura di Renato Bordone)

NOTE

[1]            G.Assandria, Il Libro Verde della Chiesa d’Asti, Pinerolo 1904, doc. CCCXI.

[2]            Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella, Roma 1887, doc. 707.

[3] Id., doc. 957.

[4]            E.Milano, Il ‘Rigestum Comunis Albe’, Pinerolo 1903, doc. CLXV.

[5] Id., doc. II.

[6]            Codex…, cit., doc. 574.

[7]            Il ‘Rigestum…, cit., doc. XI.

[8]            Codex…, cit., doc. 796.

[9]            Id, doc. 797. Anterisio sorgeva nella parte inferiore della Valle dei Lunghi, nell’attuale territorio di Canale; Desaya si trovava tra la borgata di Madonna delle Grazie (S. Stefano Roero) e il territorio di Montà.

[10]            Id, docc. 578-581.

[11]            Id, doc. 969.

[12]            Id, doc. 899.

[13]            Id, doc. 905.

[14] Memoriale Secundini Venturae, in Muratori, Monumenta Historiae Patriae, Torino 1848, t. III, col. 730.

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