Bartolomeo Gosio. Lo scienziato di Magliano a un passo dal Nobel
di Giorgio Aimassi
La figura di Bartolomeo Gosio (Magliano Alfieri, 1863 – Roma, 1944) è stata ricordata negli ultimi decenni del XX secolo in un volume dedicato alla “Gente di Magliano”[1] e in una estesa nota sulla rivista del Museo Civico “Federico Eusebio” di Alba [2]. In una monografia dedicata a Vincenzo Troya [3] è stata inoltre ricostruita la genealogia di Bartolomeo Gosio, dalla quale emerge il legame di parentela con l’illustre pedagogista maglianese.
Questi lavori hanno avuto il grande merito di mettere in luce la notevole importanza scientifica del lavoro compiuto da Gosio, che si è svolto in un arco di quasi mezzo secolo, a partire da quello che si può definire uno dei momenti gloriosi della storia della scienze, in particolare di quelle biologiche, che vide la nascita della microbiologia sperimentale con le grandi scuole di Louis Pasteur e di Robert Koch. Le sue prime ricerche risalgono infatti al 1891, anno della pubblicazione di una nota sui composti volatili dell’arsenico [4], e sono proseguite almeno fino al 1937, quando scrisse un articolo sull’eziologia dell’influenza [5]. L’intento del presente lavoro è di fornire un ulteriore contributo per la conoscenza della vita e delle opere di questo grande scienziato maglianese, a cui è stato possibile accedere grazie alla cortesia della sig.ra Susanna Gosio Farano, che ha messo a disposizione quella che si potrebbe definire l’opera omnia di suo nonno, una raccolta di nove volumi che contiene quasi tutte le sue pubblicazioni e alcune ricerche di altri Autori che ad esse fanno riferimento.
Il 2008 è un anno importante per ricordare Bartolomeo Gosio, perché esattamente 100 anni or sono gli venne assegnato il Premio Riberi della Reale Accademia di Medicina di Torino. «Alla memoria di mia madre dedico questi studi germogliati fra le ultime carezze del suo affetto»: ecco come recita la dedica degli Studi sulle bioreazioni dell’arsenico, tellurio e selenio e loro applicazioni pratiche [6], che valse a Gosio l’ambito premio. Ed ecco di seguito le motivazioni della Commissione giudicatrice [7]:
«Il Prof. Gosio è giunto alla cognizione di fatti assolutamente nuovi e molto importanti per via di ricerche lunghe e pazienti sulla fisiologia di certi microrganismi del gruppo degli ifomiceti e dei batteri. Egli, assodata l’esistenza d’un arsenicismo d’indole biologica, ha trattato magistralmente la complessa tesi delle bioreazioni col dimostrare l’attività dei microorganismi anche sui composti di selenio e di tellurio, e coll’escogitare tosto l’applicazione pratica delle reazioni bioarseniche e biotelluriche ai sieri curativi e preventivi. Egli quindi presenta un lavoro che ha utilissime applicazioni nel campo della vigilanza igienica, della terapeutica e della medicina legale. Le applicazioni del Gosio furono ormai confermate, con pieno successo, in numerosi laboratori italiani ed esteri. La sua opera, che la Commissione ebbe cura di sottoporre al giudizio di speciali competenti, tanto per la parte botanica, quanto per la parte chimica, si può considerare originale, completa ed armonica in ogni sua parte, e, come tale, fu già apprezzata dall’Istituto lombardo e dall’Accademia dei Lincei».
Questo riconoscimento fu istituito nel 1862 in onore di Alessandro Riberi, «grande figura di Scienziato chirurgo e filantropo, che diede così vitale impulso alla Sanità militare e onora con tanta nobiltà la nostra Accademia» [8], noto tra l’altro per avere introdotto nel 1847, primo in Italia, l’anestesia con etere [9]. Lo stesso Riberi alla morte, avvenuta nel 1861, fece la seguente disposizione testamentaria: «lego la somma necessaria […] perché ogni triennio si possa dare un premio di lire ventimila della Accademia Medico-Chirurgica che ho contribuito a formare».
Negli anni successivi il premio venne modificato nella periodicità, non solamente per compensare la perdita di valore della rendita, ma nell’intento di estenderne la durata; il Premio Riberi venne mantenuto attivo per molti anni, come testimoniato da Bobbio (1938), e si concluse per estinzione del fondo nel 1942 [10].
Tra i grandi scienziati italiani che vennero premiati prima di Gosio vale certamente la pena di ricordare Giulio Bizzozero (nel 1883, al sesto concorso, per la scoperta della funzione delle piastrine nel sangue) e Camillo Golgi (nel 1893, all’ottavo concorso, per lo studio del ciclo vitale del plasmodio della malaria), futuro Premio Nobel per la Medicina (1906) per gli studi sul sistema nervoso [11].
Oltre al Premio Riberi, Gosio ricevette altri importanti riconoscimenti, tra cui uno dall’Istituto Tropicale di Amburgo e uno dal Congresso di Chimica di Torino del 1925; nel 1928 ricevette il Premio Pagliani in qualità di più illustre igienista italiano [12]. È infine particolarmente degno
di nota il fatto che nel 1922 venne proposto per il Premio Nobel per la Medicina per i suoi lavori sulle muffe arsenicali; dagli archivi dell’Accademia svedese risulta infatti almeno una segnalazione da parte di Pietro Canalis, docente di Igiene all’Università di Genova [13].
Bartolomeo Gosio nacque il 16 marzo 1863 a Magliano d’Alba, oggi Magliano Alfieri, «alle ore tre di sera». La data è dedotta dal registro degli atti di nascita e di battesimo della parrocchia di Sant’Andrea, ma in qualche lavoro il giorno indicato è il 17 marzo [14]. Sullo stesso registro si legge ancora che «è stato presentato alla Chiesa un fanciullo di sesso mascolino […] figlio di Gosio Giacomo, di professione veterinario, e di Troja Antonia, benestante, […] cui fu amministrato il Battesimo […] essendo stati padrino Gosio Bartolomeo, di professione veterinario, e madrina Troja Angela nata Rabino, benestante». Il parroco che ha firmato l’atto era don Paolo Dotta.
I rapporti di parentela tra Bartolomeo Gosio e la famiglia del pedagogista Vincenzo Troja sono stati ricostruiti da Cardinali et al. (1983): i nonni materni di Bartolomeo risultano essere stati Giovanni Bartolomeo Troja, figlio di Giacomo Antonio, che era fratello di Vincenzo Troya (1806-1883), e Angela Rabino, la madrina citata nell’atto di battesimo.
Giacomo Antonio Troja (1797-1877) —————- Vincenzo Troya (o Troja, 1806-1883)
sposa Antonina Moriondo
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Giovanni Bartolomeo Troja (1819-1871)
sposa Angela Rabino
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Antonia (Antonietta) Troja (1842-1899) ————- Vincenzo Troja (1853-?)
sposa Giacomo Gosio
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Bartolomeo Gosio (1863-1944)
Adriano et al. (1986) ricordano che Bartolomeo Gosio «nato a Magliano in una famiglia di veterinari, compie gli studi, grazie allo zio Vincenzo Troya [verosimilmente il fratello della madre Antonia, omonimo del pedagogista, NdA], nel Seminario di Alba». Anche in una estesa commemorazione pubblicata sul bollettino parrocchiale [15] si legge che «incominciò gli studi nel Seminario di Alba» tuttavia, per quanto non vi sia motivo di dubitare di questo fatto, le ricerche effettuate nell’archivio riservato del Seminario da parte di don Giovanni Rocca non hanno ancora permesso di verificare la presenza di Bartolomeo Gosio in questa struttura.
Alcune informazioni sul curriculum di Gosio sono fornite dal dott. Francesco Abba che ricorda i primi tre anni di studi universitari a Torino e il successivo trasferimento all’Università di Roma, con il conseguimento della laurea nel 1888 a «pieni voti con particolare distinzione di merito» [16]. La tesi, che trattava dei «protozoi come agenti di malattie» venne comunque elaborata nell’Università di Torino, nel laboratorio di parassitologia del prof. Perroncito.
Bartolomeo Gosio, insieme con Achille Sclavo, venne subito accolto come assistente nella Scuola di perfezionamento dell’Igiene pubblica dal responsabile della Direzione di Sanità, il prof. Luigi Pagliani. Gosio alternò la sua attività tra i laboratori di batteriologia e quelli di chimica, acquisendo una profonda preparazione in entrambe le materie.
Grazie al suo brillante curriculum di studi e ai primi risultati delle sue ricerche, Gosio ottenne una prima borsa di studio all’estero ed ebbe così occasione di specializzarsi nei laboratori scientifici di Monaco, di Lipsia e di Berlino; poco dopo il ritorno in Italia vinse ancora un posto per un corso di perfezionamento all’estero e ripartì per l’Università di Berlino, dove portò a compimento interessanti lavori sul vibrione del colera [17]. Due degli specialisti con cui ebbe occasione di studiare all’estero furono Max Rubner e Hans Thierfelder, grazie ai quali si perfezionò in chimica fisiologica e in microbiologia [18]. È ancora Abba (1908) a ricordare che Gosio, dopo aver ottenuto la qualifica di Direttore dei Laboratori della Sanità, «senza darsi l’aria di scoprir la polvere da sparo almeno una volta al mese», conseguì la docenza in Igiene e vinse una cattedra all’Università di Sassari. Già nel 1896 Gosio aveva la qualifica di libero docente d’Igiene nella Regia Università di Torino [19], tuttavia preferì continuare il proprio lavoro per la sanità pubblica, in parte con Robert Koch, che era giunto in Italia per studiare la malaria, in parte occupandosi delle peste e viaggiando «da Roma a Berlino, ad Oporto, a Napoli e dovunque era necessaria la presenza di una mente» [20].
Tra i primi contatti di Gosio con la comunità scientifica internazionale va ricordata la partecipazione al settimo Congresso Internazionale di Igiene e Demografia, che si tenne a Londra dal 10 al 17 agosto 1891 e al quale parteciparono alcuni tra i principali artefici della rivoluzione microbiologica di fine Ottocento [21]. È lo stesso Gosio a ricordare il suo incontro con C. H. Sanger, che come lui si stava occupando delle sostanze tossiche che si liberano dalle tappezzerie e, più in particolare, dai coloranti verdi in esse contenuti: nell’introduzione del suo lavoro conclusivo sui gas arsenicali, Gosio presenta una accurata descrizione di tutti i lavori precedenti sull’argomento (tra gli autori citati figurano Gmelin, Riedel, von Basedow, Selmi e Sanger) e ricorda che lo scienziato americano poté conoscere direttamente i suoi lavori proprio al Congresso di Londra, quando egli presentò «le prime colture di Mucor mucedo in terreno arsenicale, con intensissime e persistenti esalazioni agliacee» [22]. Dopo l’incontro, che gli permise di apprendere le condizioni sperimentali in cui erano stati condotte le prove di laboratorio da parte del collega italiano, Sanger pubblicò in breve tempo l’esito dei suoi nuovi lavori, che ora potevano confermare le conclusioni di Gosio [23]. Le analisi chimiche condotte personalmente avevano indotto Gosio [24] a identificare il gas come dietilarsina, ma l’esatta natura del composto fu scoperta soltanto negli anni Trenta del XX secolo, quando Challenger et al. (1933) [25] e Challenger & Higginbottom (1935) [26] verificarono che il “Gas di Gosio” era in realtà trimetilarsina; un esteso aggiornamento sulla metilazione microbica dell’arsenico e di altri metalloidi, con un’ampia discussione sul lavoro di Gosio, è stata fatta da Bentley & Chasteen (2002) [27].
L’arsenicismo domestico, termine utilizzato per descrivere l’avvelenamento da gas arsenicali all’interno delle abitazioni, potrebbe avere colpito persino Napoleone Bonaparte [28]. Dopo lunghi anni di dibattito intorno al suo possibile avvelenamento con arsenico, ormai non sembrano sussistere dubbi sul fatto che la causa che determinò la morte dell’Imperatore sia stata un tumore allo stomaco, tuttavia le analisi più recenti presso i laboratori INFN del Gran Sasso [29] hanno confermato la presenza nei suoi capelli di un’elevata concentrazione di arsenico, la cui origine potrebbe essere ricondotta al “gas di Gosio”. Si tenga tuttavia presente che il ruolo della trimetilarsina come possibile causa di avvelenamento è stato recentemente contestato da Cullen & Bentley (2005) [30], secondo i quali la tossicità del composto sarebbe piuttosto bassa.
Per quanto le ricerche scientifiche più complesse e originali eseguite da Bartolomeo Gosio siano forse quelle sul gas arsenicale, il suo nome è legato anche alla storia degli antibiotici. Il suo lavoro è stato spesso descritto come una anticipazione dei celeberrimi studi sulla penicillina effettuati da Alexander Fleming e, successivamente, dai ricercatori di Oxford E. Chain e H. W. Florey, che furono premiati nel 1945 con il Nobel per la Medicina e Fisiologia [31].
Questo filone di ricerca era rivolto all’individuazione delle cause della pellagra, una malattia endemica diffusissima in molte regioni del nord Italia, in particolare Lombardia e Veneto, a partire dalla fine del XVIII secolo [32]. L’ipotesi che la malattia fosse causata da un’alimentazione quasi esclusivamente maidica risale agli inizi dell’Ottocento, con Marzari, ma l’idea che dipendesse dalla carenza di una vitamina ancora sconosciuta risale agli anni Venti del secolo successivo, con il tedesco Funk; dovette tuttavia trascorrere ancora oltre un decennio prima che si identificasse, in animali da laboratorio e quindi nell’uomo, l’esistenza della vitamina PP (pellagra preventing) o acido nicotinico [33]. Gosio sosteneva un’ipotesi diversa, secondo la quale la pellagra era causata da un avvelenamento prodotto dal mais alterato, in particolare per l’azione di alcune muffe [34] (Gosio, 1893). Nel corso delle ricerche, che evidentemente non poterono dimostrare l’ipotesi del “tossicozeismo”, sostenuta in precedenza anche da Cesare Lombroso, Gosio giunse tuttavia a purificare e cristallizzare una sostanza con caratteristiche fenoliche, alla quale non diede un nome preciso, che veniva prodotta da un fungo del genere Penicillium. I risultati, con la descrizione delle proprietà tossiche e antibatteriche del composto, sono stati descritti anche in altri lavori di poco successivi [35] e le ricerche continuarono per circa un ventennio.
Nel 1907 «da Bergamo, centro di fortissimo risveglio nella lotta antipellagrosa, pervenne a S. E. il Ministro dell’Interno richiesta di un incarico allo scrivente a tenere in quella provincia una serie di conferenze che dovevano in complesso convergere sulle alterazioni del mais e sui metodi per riconoscerle» [36]. Nello stesso lavoro risultava evidente che Gosio era ben consapevole delle posizioni di alcuni altri scienziati in tema di pellagra e, con ammirevole correttezza scientifica, ammetteva: «lo sviluppo dottrinale sull’etiologia della pellagra fece passi notabili anche inverso all’indirizzo che noi sosteniamo». Concludeva tuttavia affermando che «qualunque possa essere l’esito delle indagini future, sempre non si potrà disconoscere la grande tendenza del mais a farsi sede d’uno sviluppo ifomicetico ed il grave pericolo che, in causa di tale parassitismo, esso rappresenta per la salute dei consumatori».
Quasi a compensare l’errore nell’individuare l’eziologia della pellagra, la sostanza da lui identificata gli fece raggiungere, come già ricordato, una grande notorietà nell’ambito degli studi sugli antibiotici, i nuovi farmaci che, di poco successivi ai sulfammidici, a partire dagli anni ’40 permisero di salvare milioni di vite umane [37]. L’azione antibatterica della sostanza, successivamente identificata come acido micofenolico, unita al fatto che essa veniva prodotta da un Penicillium, ha tuttavia indotto in errore diversi Autori, i quali la hanno confusa con gli antibiotici della categoria delle penicilline. Inoltre la dicitura “arsina penicillare”, che compare su un flacone tuttora presente presso il Museo di Storia della Medicina di Roma non può riferirsi ad un ipotetico «primo campione di penicillina», come sostengono Borra (1988) e Donelli & Di Carlo (2002), ma è certamente relativo al composto mercurico della trimetilarsina citato in Gosio [38] . Questa confusione nulla toglie all’importanza della scoperta di Gosio, che fu esplicitamente riconosciuta da Florey et al. (1946), secondo i quali l’acido micofenolico «ha l’onore di essere il primo antibiotico, derivato da un fungo, che è stato cristallizzato» [39]. Malauguratamente, questo importante riconoscimento giunse quando Bartolomeo Gosio era ormai morto da due anni.
La complessa struttura cristallina dell’acido micofenolico è stata definita soltanto recentemente [40] e Bentley (2001) ne ricorda numerosi utilizzi in campo medico, che comprendono la riduzione dei fenomeni di rigetto in seguito a trapianto e il trattamento del Lupus eritematoso sistemico (LES)[41].
Un altro grande aspetto della sanità e dell’igiene pubblica al quale Gosio dedicò una gran parte della sua vita, di certo quello in cui più evidente emerge la sua grande umanità, è lo studio della malaria, nel corso del quale lo scienziato maglianese ebbe occasione di collaborare con Robert Koch, uno dei fondatori della moderna microbiologia.
«Nell’agosto dell’anno 1898, i laboratori della Sanità pubblica ebbero l’onore di accogliere il prof. Koch coi suoi assistenti, prof. Pfeiffer e prof. Kossel, venuti in Italia per lo studio della malaria. Fin da quell’epoca, dietro consiglio dello stesso Koch, noi non credemmo limitarci ai soli doveri d’ospitalità verso un illustre scienziato, ma prendemmo parte attiva alle sue ricerche, ed utilizzammo il più possibile il suo lavoro, onde prepararsi a portare qualche contributo in una questione di così alta importanza per l’igiene nazionale nostra» [42]. Gosio si occupò della lotta alla malaria dapprima nella Maremma Toscana, a Grosseto, quindi in alcune regioni dell’Italia meridionale. Studiò a fondo le modalità di trasmissione della malattia e le possibili azioni di bonifica: a questo proposito è d’obbligo ricordare la sua continua insistenza sul concetto di “bonifica umana”, che consiste nell’ottenere la guarigione completa di tutti gli ammalati entro un ciclo annuale, con l’intento di impedire alle zanzare di infettarsi con i soggetti non perfettamente guariti (a volte asintomatici) e quindi di trasmettere a nuove persone sane il micidiale Plasmodio.
Grande energia venne spesa da Gosio per la fondazione e il sostegno delle “Colonie pro bambini malarici […] istituti sorti da qualche anno in vari punti della media e della bassa Italia, intieramente dedicati ai fanciulli, con un programma di riscatto fisico e morale” [43]. La prima colonia sorse a Monticchio di Basilicata nel luglio 1910 e a Gosio rimasero impresse nella mente le immagini e gli episodi più suggestivi del giorno. Così parlava dei bambini ammalati: «Sono spettri nani – colorito terreo, occhi lucidi ed infossati, abiti a brandelli. – Tengono al braccio un piccolo involto – li accompagna una misteriosa incognita […] quei poveri piccini sono tanto comune spettacolo d’ogni giorno, che nessuno se ne cura; il loro abbandono fa soltanto pena a noi, predisposti a sentirlo». Viene da pensare che Gosio avesse in mente suo figlio Renato [44], allora un fanciullo di nove anni, coetaneo delle sfortunate creature che gli stavano davanti.
Oltre un decennio più tardi Gosio ricordava «Il convincimento, sulla necessità di un’assistenza speciale ai bambini affetti da febbre palustre, mi venne fin dal 1906, quando la Direzione Generale della Sanità Pubblica presso il Ministero dell’Interno m’incaricò di organizzare i servizi antimalarici nella Basilicata e nella Calabria» [45]. Altri ricoveri sorsero quindi in Calabria, nel Lazio, in Veneto, in Sicilia, in Sardegna. La colonia più importante per Gosio fu tuttavia quella fondata nel 1910 a Rocca di Papa «ad interesse di un comitato presieduto dalla Signora Giuseppina Ferrari Regis», nella quale egli ebbe un ruolo di primo piano per molti anni, tanto che spesso si riferisce ad essa parlando della «nostra» colonia. La struttura venne temporaneamente trasferita ad Ariccia e quindi, finalmente, al Borghetto (Grottaferrata), dove a metà degli anni Trenta erano ricoverati circa 200 bambini [46]. Nella sede del Borghetto alla struttura erano aggregati una chiesa, una scuola, un laboratorio di cucito e materiali per attività agricole e di allevamento di piccoli animali. Anche se i fondi per il funzionamento provenivano da feste di beneficenza, concerti, conferenze, pubbliche sottoscrizioni, sussidi della R. Casa e del Ministero, elargizioni private, contributi di soci [47], circa un terzo delle spese poteva essere coperto dagli introiti dei prodotti agricoli venduti [48].
Oltre all’attività legata ai sanatori per bambini malarici, gli ultimi anni di Bartolomeo Gosio lo videro ancora interessato ai problemi delle intossicazioni da arsenico, in particolare nei pressi della città di Danzica [49], nonché all’eziologia dell’influenza [50].
Bartolomeo Gosio morì a Roma nel 1944, «amareggiato e alquanto disturbato da eventi dell’ultima guerra”, sebbene “confortato dalla speranza cristiana» [51]. Il bollettino parrocchiale di Magliano Alfieri riportò brevemente la notizia: «Agli amici e dipendenti del Prof. Bartolomeo Gosio è giunta la notizia della sua morte, avvenuta in Roma il 15 Aprile. La Gazzetta del Popolo così parlava, annunciando la sua morte: “Si è spento oggi, dopo lunga malattia, il prof. dott. Bartolomeo Gosio, piemontese, che da oltre 60 anni risiedeva a Roma, ove aveva raggiunto fama internazionale come medico e come scienziato”» [52]. Nella breve nota non viene fatto alcun accenno alla cerimonia funebre, ma sette anni più tardi, in un bollettino parrocchiale in gran parte dedicato alla figura del “Prof. Comm. Bartolomeo Gosio”, si leggevano le seguenti parole: «Tutto il paese fu ad accogliere la salma la domenica 22 aprile u.s., quando lasciava per l’ultima volta la sua casa ed entrava ancora una volta nella Chiesa Parrocchiale». Questo testo sembra contraddire Adriano et al. (1986), secondo i quali la cerimonia fu celebrata a Magliano Alfieri nello stesso anno della morte. In ogni caso l’evento ebbe una certa risonanza, dal momento che erano presenti l’avv. Mario Pettinati, l’avv. Giovannoni, sindaco di Alba, il prof. dott. Carusi, medico provinciale, i dott. rappresentanti della “Colonia permanente Bartolomeo Gosio” e il sen. Bubbio. «Le note della Banda, che avevano salutato con mestizia fin dal principio della funzione la cara salma, ora riprendevano la loro voce, mentre il corteo si avviava verso il Camposanto» [53].
Ringraziamenti
Il presente lavoro non sarebbe mai stato svolto senza la disponibilità, la cortesia e la collaborazione della signora Susanna Gosio Farano, nipote di Bartolomeo Gosio: a lei un doveroso quanto sentito ringraziamento.
Grazie inoltre a don Guido Davico, che ha messo disposizione l’archivio della parrocchia di Sant’Andrea (Magliano Alfieri); a don Giovanni Rocca, che ha effettuato ricerche presso l’archivio del Seminario Diocesano di Alba; al prof. Paolo Mazzarello, che mi ha incoraggiato nella prosecuzione delle ricerche e mi ha fornito alcuni suggerimenti operativi; agli amici Paola Ferraro e Bruno Berta, che mi hanno fatto dono di gran parte della biblioteca del dott. Pietro Ferraro, medico-chirurgo di Altare, dalla quale ho potuto attingere alcune delle fonti bibliografiche consultate; a mio fratello Mauro e a mia moglie Marina Zaninetti per le frequenti discussioni, i consigli e i suggerimenti in varie fasi della progettazione e della stesura del lavoro.
QUESTO ARTICOLO E’ APPARSO SUL N. ZERO di “Roero Terra Ritrovata”
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NOTE
[1] Adriano A., Aimassi M., Cardinali V.G. & Giudice C., 1986. Gente di Magliano. Magliano Alfieri, Pro Loco, 113 pp.
[2] Borra E., 1988. Bartolomeo Gosio, un precursore della scoperta della penicillina. Alba Pompeia, n.s., IX (2): 79-84.
[3] Cardinali V. G., Antonetto L., Primosich F., 1983. Vincenzo Troya. Vita e opere di un educatore piemontese. Magliano Alfieri, Pro Loco, 140 p.
[4] Gosio B., 1891. Azione dei microfiti sui composti arsenicali fissi – nota riassuntiva. Ministero dell’Interno – Laboratori scientifici della Direzione di Sanità (diretti dai Prof. A. Monari ed A. di Vestea). Roma, Tipografia delle Mantellate, 7 pp.
[5] Gosio B., 1937. A proposito dei dispareri sull’etiologia dell’influenza. Sonderabdruck aus der festschrift nocht 1937, herausgegeben vom Institut für schiffs- und tropenkrankheiten in Hamburg: 163-166.
[6] Gosio B., 1906. Studi sulle bioreazioni dell’arsenico, tellurio e selenio e loro applicazioni pratiche. Roma, Tipografia delle Mantellate, 228 pp. + IV tavole f.t.
[7] Bozzolo C., Fusari R., Bajardi D., Abba F. e Martinotti E., 1908. XI Concorso al Premio Riberi, 1902-1906. Relazione della Commissione. Giornale della Reale Accademia di Medicina di Torino. Anno LXXI – serie IV-14: 45-47.
[8] Bobbio L., 1938. Storia dei Premi Riberi. Giornale della Reale Accademia di Medicina di Torino. Anno CI-51: 535-547.
[9] Mazzarello P., 2006. Il Nobel dimenticato – la vita e la scienza di Camillo Golgi. Torino, Bollati Boringhieri, 660 pp.
[10] Bentley R., 2001. Bartolomeo Gosio, 1863-1944: an appreciation. Adv. appl. microbiol., 48: 229-250.
[11] Bobbio, 1938; Mazzarello, 2006; Gravela, 1989. Giulio Bizzozero. Torino, Umberto Allemandi & c., 198 pp.
[12] Jerace, 1945; Bentley, 2001.
[13] http://nobelprize.org/nomination/medicine.
[14] Anonimo, 1951. Il Prof. Comm. Bartolomeo Gosio. Dall’alto di Magliano Alfieri (bollettino parrocchiale), Anno IV, n. 4, Giugno 1951: 1-3; Borra, 1988.
[15] Anonimo, 1951
[16] Abba F., 1908. Prof. Bartolomeo Gosio. L’Avvisatore sanitario, anno VII, n. 10: 145-149.
[17] Abba, 1908.
[18] Fermi C., 1944. Bartolomeo Gosio. Rivista di Malariologia, 23: 70-72.
[19] Gosio B., 1896b. Ricerche batteriologiche e chimiche sulle alterazioni del mais. Contributo all’etiologia della pellagra (Memoria 2a) (Continuazione e fine). Riv. Igiene Sanità Pubblica, Anno VII, n. 22: 869-888.
[20] Abba, 1908.
[21] AA.VV., 1891. Abstracts of papers communicated to the Seventh International congress of Hygiene and Demography; London, August 10-17, 236 pp; Mortimer P., 2006. The founders of modern microbiology. The 1891 London Congress of Hygiene and Demography. Microbiology today, May 2006: 54-57.
[22] Gosio, 1906.
[23] Sanger, C. R. 1893a. On the formation of volatile compounds of arsenic from arsenical wall papers. Proc. Am. Acad. Arts Sci., 29:112-147; Sanger, C. R. 1893b. On chronic arsenical poisoning from wall papers and fabrics. Proc. Am. Acad. Arts Sci., 29:148-177.
[24] Gosio B., 1900a. Ricerche ulteriori sulla biologia e sul chimismo delle arseniomuffe. Roma, Società Ed. Dante Alighieri, 13 pp. Estratto da Il Policlinico, vol. VII-M; Gosio B., 1901. Recherches ultérieures sur la biologie et sur le chimisme des arsénio-moisissures. Archives Italiennes de Biologie, Tome XXXV, Fasc. II: 201-211.
[25] Challenger F., Higginbottom C. & Ellis L., 1933. The formation of organo-metalloids compounds by microorganisms. Part 1. Trimethylarsine and dimethylarsine. J. Chem. Soc., 1933: 95-101.
[26] Challenger F., Higginbottom C., 1935. The production of Trimethylarsine by Penicillium brevicaule (Scopulariopsis brevicaulis). Biochem. J., 29: 1757-1778.
[27] Bentley R., Chasteen T. G., 2002. Microbial Methylation of Metalloids: Arsenic, Antimony and Bismuth. Microbiology and Molecular Biology Reviews, June 2002: 250-271.
[28] Jones D.E.H., Ledingham K.W.L., 1982. Arsenic in Napoleon’s Wallpaper. Nature, 229: 626-627.
[29] Battiston R., 2008. I capelli dell’Imperatore. Le Scienze, marzo 2008, n. 475: 25.
[30] Cullen W. R., Bentley R., 2005. The toxicity of trimethylarsine: an urban myth. J. Environ. Monit., 7: 11-15.
[31] Agrifoglio L., 1954. Igienisti italiani degli ultimi cento anni. Milano, Hoepli, 144 pp.; Sthåle N. K., 1967. Nobel Prizes. In: Enciclopædia Britannica, Vol. 16: 548-552; Donelli G., Di Carlo V., 2002. I laboratori della Sanità Pubblica. L’amministrazione sanitaria italiana tra il 1887 e il 1912. Bari, Laterza, 294 pp.; BORRA, 1988.
[32] De Giaxa, 1927. La Pellagra. In: Casagrandi O. (red.), Trattato italiano di Igiene, vol. 6°, parte sesta, fasc. I, Torino, UTET, 120 pp.
[33] De Giaxa, 1927; Frontali G., 1955. Pellagra. In: AA.VV., Enciclopedia medica italiana, vol. VII. Firenze, Sansoni Edizioni Scientifiche, XII+2383 pp.
[34] Gosio B., 1893. Contributo all’etiologia della pellagra. Ricerche chimiche e batteriologiche sulle alterazioni del mais. G. R. Accad. Med. Torino, 61 (seduta del 16 maggio 1893): 484-487.
[35] Gosio B., 1896a. Ricerche batteriologiche e chimiche sulle alterazioni del mais – Contributo all’etiologia della Pellagra (Memoria 2a). Rivista d’Igiene e Sanità pubblica, Anno VII, n. 21: 825-868. ; GOSIO, 1896; Gosio B., Ferrati E., 1896. Sull’azione fisiologica dei veleni del mais invaso da alcuni ifomiceti – Contributo all’etiologia della Pellagra (Memoria 3a). Rivista d’Igiene e Sanità pubblica, Anno VII, n. 24 (16 dicembre 1896): 961-981.
[36] Gosio B., 1909. Alterazioni del granoturco e loro profilassi – Conferenza illustrata tenuta nei capoluoghi di Circondario del Bergamasco. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale dell’Agricoltura. Roma, Tipografia nazionale di G. Bertero e c. – Annali di Agricoltura, n. 261, 38 pp. e XXII tav.
[37] Le Couteur & Burreson, 2006
[38] Gosio B., 1900°.
[39] Florey H.W., Gilliver K., Jennings M.A., Sanders A.G., 1946. Mycophenolic Acid. An Antibiotic from Penicillium brevicompactum Dierckx. The Lancet, jan. 12, 1946: 46-49.
[40] Covarrubias-Zúñiga A., Zúñiga-Villareal N, González-Lucas A., Díaz-Domínguez J., Espinosa-Pérez G., 2000. Crystal structure of Mycophenolic Acid: 6-(4-Hydroxyl-6-methoxy-7-methyl-3-oxo-1,3-dihydroisobenzofuran-5-yl)-4-methyl-hex-4-enoic Acid. Analytical Sciences, July 200, vol. 16: 783-784.
[41] Denton M. D., Magee C. C. & Sayegh M. H., 1999. Immunosuppressive strategies in transplantation. The Lancet, 353: 1083-1091. Rossi E., 2001. LES: esperienza clinica con micofenolato di mofetile. XXIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica. Sorrento, 13 ottobre 2001.
[42] Gosio B., 1900b. La malaria di Grosseto nell’anno 1899 – contributo epidemiologico e profilattico. Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 54 pp. + 1 tav. Estratto da Il Policlinico, vol. VII-M.
[43] Gosio B., 1913. Colonie pro bambini malarici. Firenze, Rassegna Nazionale, fasc. 16 settembre 1913.
[44] Anche il dott. Renato Gosio (1901-1982), figlio di Bartolomeo e di Petronilla Luccia Riberi, si occupò di malaria e, nella prefazione di un importante lavoro sulle modificazioni abnormi subite dalla milza dei malarici (Gosio, 1944), scrisse: «da B. Gosio, mio padre, pioniere nella lotta antimalarica e iniziatore della «bonifica umana», ebbi l’entusiasmo e i mezzi per compiere grande parte di questo lavoro nelle Colonie Agricole Antimalariche, da Lui ideate […] e dirette per circa un trentennio».
[45] Gosio B., 1925a. Colonie di bonifica per i bambini malarici. In: Organizzazioni Antimalariche alla luce delle nuove dottrine. Direzione Generale della Sanità Pubblica. Spoleto, Arti Grafiche Panetto & Petrelli, 61 pp.
[46] Gosio B., 1936. Sanatori per bambini malarici. Rivista di Malariologia, Anno XV, sezione I, pp. 345-357.
[47] Gosio, 1913.
[48] Gosio B., 1924. La colonia agricola antimalarica di Borghetto nel suo primo anno di vita. Roma, 12 pp.
[49] Gosio B., 1925b. Sul così detto Morbo di Frisches Haff di Danzica. Il Policlinico (Sezione Pratica); Gosio B., 1931. Riflessioni tecniche sulla “nebbia che uccide”. L’Igiene Moderna, Anno XXIV, N.2 , febbraio 1931, estratto di 4 pp.
[50] Gosio, 1937.
[51] Borra, 1988.
[52] Anonimo, 1944. È morto un nostro celebre concittadino. Il buon angelo delle famiglie (bollettino parrocchiale), n. 5, Maggio 1944: 3.
[53] (Anonimo, 1951